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Il Governo Meloni compie un anno ma la torta è indigesta

Ad un anno esatto dalle elezioni del 25 Settembre scorso, il governo Meloni celebra i grandi successi conseguiti con un opuscolo dedicato e un week-end di eventi sparsi su tutto il territorio nazionale. Poco conta se nell’opera glorificante divulga dati scorretti, conditi di omissioni e rimpastati di interpretazioni che lasciano adito a più di un dubbio. Non abbiate subito mala fede, si sa, nel fervore dei festeggiamenti qualche amnesia può cogliere di sorpresa anche il più trasparente degli esecutivi. Singolare però che tali dati siano riportati con chiara intenzionalità sulle 32 pagine de: “L’Italia vincente: un anno di risultati. Come il Governo Meloni sta facendo ripartire la Nazione”. Come si suol dire: “verba volant, scripta manent”. Anche se qui, quel che rimane è solo tanta propaganda. A seguire una sintetica correzione punto per punto.

Dati macro-economici

L’incipit del primo paragrafo recita con un pizzico di spavalderia: “In uno scenario di forte incertezza economica e politica a livello internazionale, i dati più recenti confermano che l’economia italiana cresce più del previsto”. Affermazione volutamente vaga, avvalorata esclusivamente dai dati relativi al primo trimestre 2023. Effettivamente se avessero mostrato quelli diffusi da Istat ed Eurostat afferenti al secondo avrebbero dovuto ammettere l’arrivo della recessione. Dal trimestre aprile-giugno non solo il PIL decresce dello 0,4%, anzi, si prevede che nel 2024 l’Italia crescerà meno di Francia e Germania, rispettivamente dello 0,9% contro l’1,3% delle due. Sul fronte dell’export si segnala lo stesso giochetto: se i dati del primo trimestre sono buoni non si può dire altrettanto del secondo, caratterizzato da un calo del 3,2%. Vantano poi il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 14 anni, informazione parzialmente manipolata. Infatti, la ripresa dell’occupazione post-Covid, osservabile dal 2021 e correlata ai provvedimenti presi dal governo Draghi, seppur veritiera, inverte la propria rotta dallo scorso luglio. Indice che neppure il periodo estivo, tradizionalmente positivo grazie alla spinta del turismo, è riuscito a garantire buone notizie sul fronte dell’occupazione, specialmente quella stabile e di qualità. Bizzarra come presentazione dei dati macro-economici.

Il Governo Meloni e i dati macroeconomici

Inflazione

Il capitolo lotta all’inflazione, divenuta ormai una tassa occulta sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione, appare nebuloso. Il Governo Meloni si limita ad una dichiarazione d’intenti: sostenere i redditi più bassi, le famiglie numerose e ridurre il cuneo fiscale. Come? Con la tassa sugli extra-profitti delle banche, senza però chiarire che dopo le solite giravolte di decreti e controdecreti si è ridotta a mero prestito. Il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ha espresso il carattere saltuario dell’operazione e la “deducibilità del contributo con un credito di imposta di valore pari o di poco inferiore al prelievo che subiranno”. Insomma, a questo governo piace spacciarsi per vero Robin Hood pronto ad intascare risorse in favore dei più poveri, peccato che abbia le tasche casualmente bucate. Così il cuneo fiscale, misura auspicabilmente strutturale, viene finanziata totalmente a deficit. Per quanto concerne il “Patto anti-inflazione”, brandito dal governo come segnale inequivocabile di unità nazionale, di equivoci ne presenta tanti. Associazioni di consumatori ed economisti come Riccardi Trezzi e Tommaso Monacelli, docente di macro-economia alla Bocconi, convergono nel definire il carrello tricolore affisso in supermercati e farmacie una grande operazione di facciata. Ancora una volta propaganda. L’adesione delle imprese rimane su base volontaria e manca di un listino comune di prodotti sui quali convergere le offerte, rendendo così difficoltosa la valutazione dei risultati finali. Ancor più grave è il non aver fatto distinzione fra i diversi consumatori. Il rischio è quello di generare un’ulteriore spirale inflattiva: coloro che dispongono di maggiore potere d’acquisto tenderanno ad acquistare più facilmente le merci scontate, generando sul lungo termine una scarsità delle stesse ed un aumento della domanda di beni sostituti, con conseguente aumento dei prezzi. Rimane il fatto che l’inflazione stia subendo una flessione, potrebbero obiettare i più accorti. Hanno ragione, ma il suo rallentamento è dovuto a cause esterne all’agire del governo, come la discesa dei prezzi dell’energia e il tanto discusso aumento dei tassi, deciso dalla BCE.

Abolizione del reddito di cittadinanza e guerra ai poveri

La sviolinata continua con l’abolizione del Reddito di Cittadinanza, misura approntata dal Governo Conte per sostenere coloro che vessano in condizioni di indigenza. Forte dei proclami sbraitati in campagna elettorale “uno Stato giusto non mette sullo stesso piano chi può e chi non può lavorare”, come se la povertà non fosse una fragilità sociale al pari delle altre, il Governo Meloni spazza via i passi avanti già compiuti e utili ad avvicinarci al Welfare State dei paesi più virtuosi d’Europa. Certo, all’interno dell’opuscolo non troverete l’identikit del percettore tipo, sono ben attenti da palazzo Chigi a non far trapelare che la maggior parte di essi ha si e no la terza media, un’età superiore ai 50 anni e risiede al Sud. Tutti fattori che espongono a precarietà lavorativa, aumentano il rischio di incorrere in occupazioni poco tutelate, pochissimo remunerate e, spesso, anche ad alto tasso di infortuni e morte sul lavoro. Più che fare giustizia pare che l’intento sia quello di rendere i poveri ricattabili e spingerli ad accettare qualsiasi condizione di lavoro. A dimostrazione, il mancato potenziamento degli ispettori del lavoro. D’altronde sarebbe troppo chiedere a “uno Stato giusto” di verificare che i più deboli vengano assunti in condizioni dignitose e, possibilmente, non in nero. A fronte del quadro appena descritto la risposta del governo è un vero e proprio flop. La piattaforma Siisl dedicata alla formazione professionale, inaugurata il primo di settembre, non ha ancora erogato nessun corso, specialmente nelle regioni più bisognose. Dalle dichiarazioni di Pasquale Tridico, Presidente Inps sino al maggio scorso, o per essere più chiari, sino a quando il Governo Meloni non decise di commissariare l’ente con un “atto di aggressione politica” e mettere alla porta l’illustre esperto di previdenza sociale, si apprende come il malfunzionamento della piattaforma sia imputabile ad un semplice fattore: non si è provveduto ad un analisi preventiva dei particolari bisogni occupazionali delle aziende. Poco importa, la nuova dirigenza Inps ha già stilato un nuovo rapporto ad indicare che il numero dei lavoratori poveri si è miracolosamente ridotto dai 4 milioni e 300 mila del 2022 ai soli 20 mila del 2023… le magie della statistica.

Manifestanti in difesa del reddito di cittadinanza

Politiche lavorative

Come abbiamo avuto modo di osservare il Governo Meloni ha uno strano modo di stare al fianco dei lavoratori. Durante l’anno appena trascorso ha approvato a tal fine svariati provvedimenti: consente il rinnovo dei contratti precari per i primi 12 mesi senza necessità di specifiche causali, demolisce il decreto Dignità, prolunga a 24 mesi la possibilità di lavoro a termine per “esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva”. Certo, occorre riconosce che non è facile trovare il giusto equilibrio legislativo fra istanze datoriali, improntate alla flessibilità, e necessaria stabilizzazione dei lavoratori. Ciò che però è possibile recriminare all’esecutivo è il non aver operato una strutturale decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato. Quasi comico se non fosse per la percentuale preoccupante di giovani stretti nella morsa della precarietà. Alla faccia della lotta alla denatalità, tanto per essere coerenti.

PNRR

Sul PNRR, occasione di sviluppo irripetibile per un paese come l’Italia zavorrato da arretratezza e disuguaglianze, si registra il solito vittimismo: denunce di ritardi rivolte da opposizioni e amministrazioni locali, oltre alle contestabili revisioni di programma, vengono bollate come “bufale” o vile tentativo di ostacolare l’operato del governo. Ed è già tanto che non abbiano gridato ai “poteri forti” come Soros o i fantomatici “tecnocrati di Bruxelles”, nel solco di quel complottismo che da sempre contraddistingue l’estrema destra. Nell’anno corrente il Governo Meloni prevede di ridurre a 55 gli iniziali 69 obiettivi e modificarne 16, togliendo fondi al dissesto idrogeologico e alla transizione verde. Tagli anche nelle risorse destinate ai Comuni, in particolare al Sud, seppur accompagnati dalla promessa di rifinanziamento attraverso fondi nazionali. Promessa assai difficile da mantenere pensando allo spazio finanziario ristretto al quale siamo relegati. Inoltre, in contrapposizione all’accuratezza del precedente Governo Draghi, si evidenziano alcune perplessità circa la trasparenza di fronte ai cittadini. Il primo giugno la Camera ha approvato un emendamento al Decreto 44/2023 in cui si abolisce il “controllo concomitante” della Corte dei Conti sullo stato di attuazione del PNRR, vale a dire si impedisce alla magistratura contabile di vigilare su possibili irregolarità gestionali. Non solo, viene anche prorogato lo “scudo erariale” fino a giugno 2024, istituto che esenta amministratori pubblici da responsabilità contabile nei casi di dolo o colpa grave. Vien da dire, a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia mai…

Il PNRR e il Governo Meloni

Immigrazione

È sul dossier immigrazione che gli elettori nutrivano le maggiori aspettative. Dopo una campagna elettorale scandita da slogan, in cui la lotta a tutti i trafficanti del “globo terracqueo” si fa a suon di “porti chiusi” e “blocco navale”, è dura rimanere fedeli a sè stessi. Ma questo, forse, lo sapevano già. Nello specifico il blocco navale, tanto reclamato da Giorgia Meloni, è un operazione militare disciplinata dal diritto internazionale, consistente nell’impedire con la forza l’entrata o l’uscita di qualsiasi nave dal porto di una città coinvolta in un conflitto. Prevede la presenza di un esercito che spari a vista contro navi nemiche. La differenza è che in questo caso si tratta di barchini di fortuna con a bordo persone richiedenti asilo. Per la casistica estranea al conflitto, l’art. 42 della Carta dell’ONU legittima il provvedimento esclusivamente al fine di <<preservare la pace e la sicurezza internazionale>>, tesi eventualmente difficile da sostenere fra le aule del Tribunale Internazionale dell’Aia per il caso italiano.

Inoltre, il blocco navale presenta l’altissimo rischio di essere recepito come un atto di guerra dal paese che lo subisce. Una cosa è certa: non è una misura concordabile. Fonti del governo citano spesso la possibilità di un accordo con Libia e Tunisia in merito, ma davvero crediamo che paesi a guida autoritaria accettino di buon grado la presenza di navi occidentali nelle proprie acque? Al buon senso dei lettori la risposta. Vi sono limiti anche sul fronte dei diritti umani. La Dichiarazione Universale dei diritti umani garantisce il diritto all’asilo e l’art. 33 della Convenzione di Ginevra (1951) vieta il respingimento indiscriminato di persone che richiedono protezione internazionale. Il bagno di realtà per il Governo Meloni arriva intorno alla metà di settembre. Gli sbarchi a Lampedusa moltiplicano e l’atteggiamento della premier cambia, si ammorbidisce. Nel video-discorso divulgato sui canali social sembra invocare gli ascoltatori a quella stessa pazienza che tanto biasimava in campagna elettorale. Riconosce la delicata congiunzione internazionale con termini vaghi ma nega esplicitamente che la Tunisia sia un paese autoritario, lasciandone trasparire la presunta sicurezza dei porti ai fini del soccorso. Dalla visita a Lampedusa della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen emerge l’espressione “missione navale”, prospettiva ben diversa dal blocco navale. Non dissimile dalla missione Sophia, poi smantellata dall’alleato leghista Matteo Salvini, l’operazione contrastava la tratta di esseri umani in tre fasi: raccogliere informazioni sui trafficanti, salvare migranti e sequestrare le imbarcazioni utilizzate, neutralizzare le strutture logistiche sfruttate dagli scafisti via terra e mare, oltre che addestrare la guardia costiera libica.

Quanto poi al Piano Mattei, non ci credono nemmeno loro. Stipulare accordi con paesi restii al pieno riconoscimento dei diritti umani non è affatto scontato. Per citarne uno, la Tunisia tiene sotto scacco l’Unione Europea con l’arma dei flussi migratori, tanto che ha restituito 60 milioni di euro ricevuti appositamente per la gestione degli stessi, con annessa minaccia di rivelare “verità scomode”, parole del ministro degli Esteri tunisino. A conti fatti sembra che la risoluzione più efficace del fenomeno migratorio debba conciliare investimenti allo sviluppo dei paesi africani e il superamento del Trattato di Dublino, norma che di fatto impedisce un’equa redistribuzione dei migranti a tutti i paesi membri, relegandoli al primo paese d’arrivo. Se di certo nell’ultimo decennio l’Europa non ha brillato per solidarietà, chi gle lo va a dire a Giorgia Meloni che proprio gli alleati conservatori Polonia e Ungheria oppongono le maggiori resistenze alla revisione?

P.S.

Ultimo ma non per ultimo, ci assumiamo la licenza di aggiungere una postilla all’opuscolo del governo. Dispiace che una cosa l’abbiano fatta così bene da dimenticarne l’inserimento: le sanatorie. Ben 14, consultabili sinteticamente nella tabella divulgata da La Stampa. La relazione sul rendiconto generale dello Stato, redatta dalla Corte dei Conti nel dicembre 2022, mette nero su bianco il carattere deleterio di una politica fiscale caratterizzata da frequenti sanatorie. In merito alla rottamazione quater: <<il rischio è quello di attenuare l’effetto deterrente esercitato dalle attività di controllo e di riscossione, inducendo in molti contribuenti, anche non gravemente colpiti dalla crisi indotta dalla lunga pandemia e dall’eccezionale aumento dei costi dei prodotti energetici, il convincimento che il sottrarsi al pagamento dei tributi possa essere notevolmente vantaggioso>> dichiara la magistratura contabile. Per di più <<in assenza di qualsiasi valutazione sulla effettiva situazione di disagio del debitore, si finisce per accordare un beneficio a un vastissimo numero di soggetti>>. In sintesi, l’operato del governo contribuisce ad alimentare quel clima di impunità che aleggia fra chi ha compilato la dichiarazione dei redditi con una certa creatività, fra chi dimentica di fare lo scontrino o persino fra le società calcistiche in ritardo con i versamenti al fisco. Fra parentesi, interessante che il più fervido sostenitore di quest’ultima sia proprio Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e anche presidente della Lazio. Di che stupirsi, d’altronde durante il comizio elettorale tenuto a Catania (minuto 5:49) Giorgia Meloni ha dichiarato che le tasse dei commercianti sono “pizzo di Stato”, quasi a paragonare le istituzioni che rappresenta ad un’organizzazione mafiosa.

Anche se in ritardo, tanti auguri di buon compleanno Governo Meloni.