Press "Enter" to skip to content

Cronistoria del salario minimo: “Poveri e mazziati” i lavoratori del belpaese

“I poveri hanno salari da fame? Date loro da mangiare con voucher e contratti a 4 euro l’ora“. Potrebbero essere queste le dichiarazioni di una moderna Maria Antonietta, che, al caldo del suo banchetto da primo ministro affossa la proposta di legge unitaria delle opposizioni – eccetto Italia Viva- volta a fissare una soglia di salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora. Martedì scorso, 5 dicembre 2023, il vertice farsa: il governo ha dato il colpo di grazia alle istanze di 3,5 milioni di lavoratori poveri. La seduta parlamentare è solo l’ultimo atto di un teatrino che la destra mette in scena dall’estate scorsa. Nel luglio 2023, forzato di fatto dal consenso popolare che le rilevazioni demoscopiche attinenti hanno certificato – il 75% degli italiani si dichiara favorevole all’introduzione di una paga oraria minima – l’esecutivo in carica raduna le opposizioni.

La reazione della premier è stata volutamente moderata. Consapevole di camminare su un terreno minato, aveva ed ha interesse a mostrarsi dialogante, in particolare, agli occhi del suo stesso elettorato. Non boccia dunque la proposta con voto soppressivo, ma butta la palla in avanti. Una strategia attendista, volta a dilazionare le tempistiche del dibattito parlamentare. Quale miglior stratagemma per prendere tempo se non sbolognare la patata bollente al CNEL per due mesi? Una mossa da volponi ma che desta sospetto. L’organo in questione ha funzioni di consulenza seppur, storicamente, sia stato interrogato assai di rado per diatribe di tale portata. Se poi si considera che è capitanato da Renato Brunetta, bingo! 

Esito scontato quello che si nasconde dietro al solito dito magrissimo del “è meglio la contrattazione collettiva”. Asserzione di certo condivisibile, ma che tace abilmente su: tempistiche oltremodo lente, squilibri di potere fra le parti e il proliferare di contratti pirata. In un momento in cui l’inflazione morde, corrode il potere d’acquisto e ha le gambe ben più lunghe dei tavoli di contrattazione. D’altronde, se bastasse la contrattazione collettiva avremmo già sanato la piaga del lavoro sottopagato. Non a caso negli ultimi dieci anni i contratti collettivi nazionali sono aumentati a dismisura, sfiorando la soglia di 1037 nell’anno corrente, come riporta l’archivio nazionale del CNEL. Peccato che solo pochi di essi siano firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

Il gioco delle tre carte

“Non fare oggi quel che puoi fare domani” o, ancora meglio, tra sei mesi. Dopo le elezioni europee, guarda caso. È il motto all’incontrario di una destra sul filo del rasoio, costretta a fare da equilibrista fra il non approvare il salario minimo e non scadere troppo agli occhi della classe media, anch’essa interessata in prima persona dal fenomeno dello sfruttamento lavorativo. Così, il 5 dicembre 2023, con un magheggio di sottile astuzia politica, è riuscita ancora una volta a dare l’impressione di voler tenere il piede in due scarpe. Non ha bocciato la proposta di legge delle opposizioni ma l’ha stravolta. Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Lavoro, ha presentato un emendamento sostitutivo che, più che apportare qualche piccola modifica, ne ha dichiarato la sostanziale riscrittura. Non solo, la distorsione riguarda anche la natura giuridica del provvedimento. La proposta di legge diviene legge delega, affidata cioè all’iniziativa del governo. In poche parole, ecco svelato il trucchetto con cui è possibile strappare al Parlamento potere legislativo senza contravvenire ad alcuna norma. Furbo il signor volpe!

Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d'Italia e presidente della commissione Lavoro

Dibattito e bagarre in aula: non nel nostro nome

Le opposizioni tentano un’ultima stoccata: reintrodurre nel testo il parametro concreto dei 9 euro lordi l’ora. Nulla da fare, il provvedimento snaturato dalla maggioranza passa con 153 voti favorevoli, 118 voti contrari e 3 astensioni. Il dibattito infiamma la Camera. I leader delle opposizioni ritirano in massa le proprie firme da un’iniziativa legislativa che considerano vigliaccamente contraffatta. Di seguito alcuni stralci degli interventi in aula.

La segretaria dei Dem, Elly Schlein, dichiara risoluta: «Oggi è un giorno triste per la Repubblica. Oggi che accartocciate con una mano la proposta delle opposizioni sul salario minimo e con l’altra date un man rovescio a 3 milioni e mezzo di lavoratori/trici che sono poveri anche se lavorano. Il governo Meloni ci deve spiegare che cosa ha contro i poveri, che cosa vi hanno fatto?[…] Abbiamo ritirato le nostre firme perché non nel nostro nome state calpestando ancora una volta le prerogative di questo Parlamento, non nel nostro nome state pugnalando alle spalle gli sfruttati e lo fate con una scelta vigliacca, che è quella di non prendervi neanche la responsabilità di votarci contro[…] Avete scritto una delega nella quale non parlate dei contratti più rappresentativi comparativamente, ma di quelli più applicati, quindi, state spalancando la porta ad altri contratti pirata. Dovevate essere un governo dalla parte degli italiani, avete scelto di essere dalla parte degli sfruttatori». Conclude parafrasando la celebre formula di Winston Churchill: «Potevate scegliere fra l’insulto a questo Parlamento e la miseria di milioni di italiani, avete scelto l’insulto al parlamento e avrete la rabbia di milioni di italiani che vedono calpestata la propria dignità. Per tutto questo non dovete vergognarvi qui dentro, dovete giustificarvi là fuori, con quei lavoratori, con quelle lavoratrici». «L’Italia che resiste e si rialza, nelle piazze come nelle coscienze, non ve lo perdonerà, la nostra lotta sarà infinitamente più forte della vostra arroganza», è la promessa di Elly Schlein.

A seguire Giuseppe Conte: «Questo gesto proditorio non lo compirete in nome mio e del Movimento 5 stelle. Per questa ragione ritiro la firma da questo provvedimento perché state facendo carta straccia del salario minimo legale. Questa battaglia è stata rallentata dal voto di oggi ma noi la vinceremo, il paese è con noi», ha detto mentre con le mani strappa il testo distorto dalla maggioranza. L’onorevole Nicola Fratoianni volta le spalle in segno di dissenso: l’operato del governo altro non è se non un’azione di “pirateria politico-istituzionale”.

La votazione finale deflagra la protesta. Le opposizioni elevano compatte cartelli di protesta: “vergogna”, “salario minimo negato” e “sfruttamento legalizzato”, le diciture che hanno scatenato la zuffa, subito sedata, fra deputati di schieramenti opposti.

Gli interventi di Elly Schlein e Giuseppe Conte a sostegno del salario minimo

Il salario minimo tra detto e non detto

“Fare orecchi da mercante”, così si dice di chi fa finta di non capire. In questo caso, sembra essere proprio il governo a chiudere occhi e orecchie di fronte a più di un’evidenza. Non è bastata la storica sentenza della Cassazione (n. 27 711/2 ottobre 2023), con la quale la magistratura schiude alla possibilità di disapplicare contratti collettivi non idonei a garantire una retribuzione dignitosa. Non ha sturato alcune orecchie neppure l’intervento del commissario europeo al Lavoro e ai diritti sociali Nicolas Schmit, in visita istituzionale a Roma per chiarificare i tratti salienti della direttiva EU attinente. In sostanza, riporta che l’Unione Europea non impone una misura a tutela dei redditi più bassi ma ne consiglia caldamente l’adozione. Sottolinea più volte il fatto che elevate coperture di contrattazione collettiva non precludono la possibilità di aggiungere una soglia retributiva minima, specialmente in paesi come l’Italia dove le prime non sono più garanzia di salari dignitosi per tutti i lavoratori.

Pensando agli spauracchi portati avanti ormai da mesi da alcuni esponenti del governo, tutti sulla scia del “attenti perché col salario minimo si incentivano gli imprenditori ad abbassare tutti i salari al di sopra della soglia fissata”, deve essere calato un po’ di imbarazzo quando il commissario ha sviscerato i molteplici benefici generabili dalla sua introduzione: ridurre le quote di lavoro nero, contrastare la fuga di cervelli, strappare alla povertà 90 milioni di europei e aumentare il potere di acquisto generale. Diversamente, non si spiegherebbe come i 21 paesi dell’Unione che lo hanno già se la passino meglio di noi. Sarà mica che in questo paese circola la convinzione sotterranea per cui per rimanere competitivi occorra tenere basso il costo del lavoro? Con imprenditori intenti a perseguire la via bassa del profitto, quella che si fa sulla pelle dei lavoratori, piuttosto che investire, ammodernare gli impianti e dirigersi verso produzioni dal maggiore valore aggiunto. Insomma, le dichiarazioni dell’esecutivo sono un po’ come il terrorismo psicologico che la mamma fa gravitare intorno alla scatola di cioccolatini per assicurarsi che rimanga intatta, pronta da offrire agli ospiti.

Al netto di sentenze sparti acque e relatori illustri, ne devono servire tanti di paraocchi per nascondere alla vista l’art. 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Nulla di sconvolgente. All’esecutivo in carica la Costituzione non è mai piaciuta tanto, vista la brama di modificarne le fondamenta. Il premierato, vi dice nulla? A chi ha a cuore la tripartizione dei poteri sì, ma questa, è un’altra storia…