Milano capitale economica d’Italia. Milano capitale già capitale morale e immorale da lungo tempo. Sotto alla Madonnina si parla soprattutto di affari e non certo da ieri. La città che ha il Pil più alto d’Italia è da sempre un centro d’interessi, che spesso purtroppo non sono puliti. Non ce ne sorprendiamo, anche se a leggere gli articoli usciti a raffica dopo l’ultima inchiesta sugli affari criminali di alcune frange degli ultras di Inter e Milan sembra che molti colleghi non sappiano, o abbiano dimenticato la storia nera del capoluogo lombardo.
Una storia che ha visto gli affari criminali proliferare quanto le periferie e l’hinterland, in un contesto in cui le mafie da pioniere sono diventate colonizzatrici, come ben spiega il professor Nando Dalla Chiesa in “Passaggio a nord”, libro che consiglio a tutti se si vuole comprendere l’impatto devastante della criminalità organizzata sulla regione italiana più sviluppata.
Prima di lui, altri avevano indicato la via per comprendere come ogni affare importante, al nord come altrove, diventa una preda ambita ed un interesse primario per le mafie. Correva il 1982 quando Giovanni Falcone e il suo collega di Milano Giuliano Turone spiegarono ai colleghi magistrati accorsi a Castelgandolfo una rivoluzionaria tecnica investigativa che si basava su un principio semplice: “Segui i soldi, troverai la mafia”. Era il 1993 quando un quarantenne calabrese, Saverio Morabito, cresciuto tra i palazzoni di periferia a Corsico, ovest Milano, e diventato un trafficante di droga di alto livello e spietato killer, si pentiva e rivelava al PM Alberto Nobili la colonizzazione mafiosa avvenuta sotto gli occhi (chiusi dalle fette di salame milano) della politica. Cieca quando non collusa, tanto sorda da non sentire i colpi di calibro 9 che riecheggiavano fin sotto al Duomo. Anni dopo leggendo “Manager calibro 9” di Piero Colaprico e Luca Fazzo, a qualcuno saranno fischiate (e molto) le orecchie.
In questi 40 anni i magistrati che si sono succeduti in Procura a Milano e ora anche alla Dda di soldi preda delle mafie ne hanno intercettati molti, molti altri forse ne hanno persi di vista per i più svariati motivi. Ogni volta, però, che si è cercato di individuare un sistema più grande, che mette insieme mondi criminali diversi uniti però dal medesimo obiettivo (i soldi, i dané come si dice a Milano), qualcosa si è inceppato. Non si è riusciti a chiudere il cerchio e a dare un colpo mortale al sistema che si riproduce come un lombrico a cui viene tranciata la coda.
Così è accaduto per gli affari criminali degli ultras, già emersi in tutta la loro gravità (incluse le connessioni con la criminalità organizzata) nel 2009 e riemersi prepotentemente dal 2018 in poi, con il clamore delle pallottole. Prima l’omicidio di uno dei leader storici della curva interista, Vittorio Boiocchi, poi quello recentissimo dell’interista “ultras di comodo”, il rampollo della cosca di Rosarno Totò Bellocco. I magistrati, che peraltro stanno indagando su un possibile collegamento tra i due fatti di sangue, ora stanno scavando a fondo nel torbido degli affari inconfessabili delle curve, svelando come le mafie sempre affamate di dané abbiano sfruttato la propensione criminale di parte dell’universo ultras per mettere piede definitivamente nel mondo del calcio.
Sono anni che provano a farlo, da Torino a Milano, molto probabilmente anche a Roma e Napoli. Perché è evidente anche ai meno informati che nell’universo del pallone i soldi che girano sono tanti, tantissimi. E che i più scaltri, i più spregiudicati trovano sempre il modo di mangiarseli. E se qualcuno si mette di traverso, si fa valere il peso delle affiliazioni mafiose. C’è il personaggio storico che interviene, il capo mafia che si è inabissato da anni all’ombra della Madonnina ma che all’occorrenza, compare sempre per aiutare la “famiglia”. E se non funzionano le parole, c’è sempre il piombo.





