Matteo Messina Denaro è stato latitante per trent’anni e la sua cattura, avvenuta solo pochi giorni fa, non può essere in nessun modo festeggiata come una vittoria dello Stato. Eppure continuiamo a leggere farneticazioni di ogni genere: mafia sconfitta, fine di un’era, ecc. ecc. Come se nulla fosse accaduto in questi trent’anni. Come se nel frattempo, mentre la vecchia Cosa Nostra decretava per sua stessa scelta il suo ridimensionamento, nuove e rinnovate mafie non avessero conquistato enormi fette di potere economico e politico.
Servirebbe riascoltare bene le parole del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri quando qualche giorno fa ha parlato, tra l’altro, di Totò Riina, per ricordare come oggi la ‘ndrangheta sia la mafia dominante a livello globale. Perché? Semplice, è la più ricca. Ha fondato la sua evoluzione sul lucroso business del traffico di stupefacenti (qui una mia inchiesta del 2018 sempre attuale) diventandone leader assoluta. E perché chi è ricco, infinitamente ricco, ha molte risorse per comprare, corrompere, “aggiustare”.
Perché quindi tutto questo agitarsi su Messina Denaro e non sulle operazioni antidroga internazionali messe a segno tra sempre maggiori difficoltà? Perché si vuole depotenziare uno strumento fondamentale come quello delle intercettazioni, peraltro ben regolato da una legge che tutela le parti coinvolte? Sempre Gratteri, nell’intervento prima citato, ha parlato delle intercettazioni come del “mezzo più garantista per acquisire le prove di reato”. E non possiamo che essere d’accordo con lui in un’era in cui gli strumenti di comunicazione la fanno da padrone, anche negli ambienti criminali.
In chiosa, se non vi è ancora chiaro perché in Italia è difficile arrivare ad una verità condivisa sulle troppe stagioni oscure del nostro paese, vi consiglio di ascoltarvi su Radio Radicale le udienze di due processi fondamentali che si stanno svolgendo, nel silenzio generale, a Palermo e Reggio Calabria: i procedimenti sulla cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia” e quello denominato “‘Ndrangheta stragista”, per il quale si è giunti all’appello.
Ci torneremo sicuramente, perché se arriveranno ad una sentenza favorevole alle richieste della pubblica accusa, sostenute da un’incredibile mole di documenti e testimonianze, allora sì potremmo affermare che – forse – c’è ancora un senso per la Giustizia (volutamente con la maiuscola) in Italia. Vi lascio con un estratto di un mio articolo, in cui, ricordando Giovanni Falcone, osservavo il deprimente stato in cui versa la giustizia nel nostro paese.
Anniversario strage Capaci: chi ricorda Falcone, oggi come domani, apra gli occhi
Nemmeno due anni fa scrivevo un editoriale su UrbanPost, nel ventinovesimo anniversario della strage di Capaci, per parlare del “feticcio” giustizia in Italia. Vi ripropongo qui il fulcro di quella riflessione, invitandovi a fare altrettanto se avete a cuore uno dei nostri beni comuni più importanti.
Mi è capitato di riascoltare alcuni processi degli anni ’90, periodo in cui stava germinando il seme dell’erba infestante che ha divorato la giustizia italiana, grazie al capillare archivio di Radio Radicale. Ne emerge uno spaccato inquietante: la prepotenza di giudici incapaci, poi guarda caso assurti all’onore delle cronache per episodi (privati e pubblici) di abuso di potere. Eppure la maggior parte di loro ha fatto carriera, sostenuta dalle proprie “correnti”.
Emerge la sudditanza di molti corpi intermedi: su tutti la stampa, complice di questa deriva per non aver avuto il coraggio di raccontarla davvero o peggio ancora per averla cavalcata strumentalmente. Affiora la solitudine di molti, avvocati, Pm, giudici che ancora “ci credono”, e di qualche cronista di frontiera. Emerge soprattutto la disperazione di chi, a causa del delirio di onnipotenza di alcuni magistrati, non ha avuto giustizia ed ha visto la sua vita fatta a pezzi “per legge”.
A chi ricorda Falcone oggi come domani, dovrebbe essere ben chiaro questo quadro. Se vogliamo parlare ancora di Giustizia, occorre che venga il più presto possibile sgombrato il campo da tutto ciò che in questo momento la strangola. Dai rapporti inconfessabili alle corruttele, dai comportamenti al di fuori delle regole alle auto-assoluzioni. Ma soprattutto va rotto il silenzio sulle ingiustizie.
“Un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società”, scriveva Montesquieu. Se non vogliamo smettere di essere una Nazione, ricordiamocelo.





