Le indagini rivelano in Lombardia la presenza di un “network criminale evoluto”, frutto degli accordi della ‘Ndrangheta calabrese con la Camorra campana e la Mafia siciliana.
Scrive Il Giornale, in un pezzo dal tono tra il sorpreso e il naif: “Milano e la Lombardia nel mirino, se non già nelle mani, della ‘Ndrangheta. Che, secondo la sua natura, stringe alleanze con le altre mafie e le grandi organizzazioni criminali anche straniere. Si sapeva e si diceva, ma fa ancora più impressione sentirlo direttamente dal procuratore della Repubblica al tribunale di Milano Marcello Viola che lo ha denunciato nell’audizione alla Commissione Antimafia della Camera”.
Lungi da noi voler criticare le conoscenze dello stimato collega che l’ha scritto riguardo alla presenza della criminalità organizzata nel capoluogo lombardo. Ma al netto delle affermazioni ormai passate alla storia di un prefetto secondo cui “a Milano la mafia non esiste” (esisteva, visto che sono parole del 2010), della presenza di un “network criminale evoluto”, nella definizione del procuratore Viola, nel capoluogo lombardo si ha contezza almeno fin dagli anni ’90, all’epoca dei processi “Nord-Sud”, “Wall-Street” e “Count Down”.
Anche durante processi più recenti, purtroppo giunti a conclusione nel disinteresse generale, come ad esempio “‘Ndrangheta stragista”, più di un collaboratore di giustizia ha ricordato l’esistenza di un cartello criminale tra le tre mafie (calabrese, siciliana e campana) attivo fin dagli anni ’90 in Lombardia e sicuramente guidato dai vertici lombardi della ‘ndrangheta, individuati in alcune storiche famiglie della locride e di Reggio Calabria. Di più, secondo uno di loro, questo cartello intratteneva rapporti oscuri con una parte delle istituzioni, segnatamente i servizi segreti. Per quale scopo il processo “Ndrangheta stragista” svoltosi a Reggio Calabria come l’analogo “Trattativa stato-mafia” tenutosi a Palermo hanno cercato di ricostruirlo individuando precise responsabilità penali oltre ad arrivare ad una circostanziata ricostruzione storica di quegli anni neri.
Ecco perché il tono sorpreso e un po’ naif, forse per vivacizzare le edizioni estive dei giornali un po’ troppo gossippare, su quanto affermato dal procuratore Viola, ci fa abbastanza ridere. Gli addetti ai lavori ne scrivono da anni: basterebbe leggere un qualsiasi saggio o scritto recente del sociologo Nando Dalla Chiesa o semplicemente leggere i documenti pubblicati dall’Osservatorio milanese antimafia. O anche semplicemente mettere in fila i tantissimi articoli d’inchiesta sul tema di stimati colleghi quali Cesare Giuzzi o Davide Milosa.
In Lombardia la colonizzazione delle mafie è un dato di fatto. E’ un radicamento progressivo e pervasivo, iniziato negli anni ’70, consolidatosi tra gli ’80 e ’90, e nonostante le numerose inchieste giudiziarie degli ultimi anni e le centinaia di anni di carcere comminati, proseguito inarrestabile. La colonizzazione è stata guidata dalla ‘ndrangheta, che come ha ben spiegato proprio Dalla Chiesa, per sua stessa natura (la base strettamente familiare) ha dimostrato maggiore resistenza alla reazione dello Stato.
Sarebbe piuttosto più interessante indagare sulle prospettive future di questa colonizzazione. Se il business principale, cioè la base per creare capitali da reinvestire, resta quello del narcotraffico, poco sappiamo ancora sulle strategie di investimento future di questo “network criminale evoluto”. Siamo certi che i magistrati milanesi (e non solo) abbiano le idee un po’ più chiare di certa stampa, però sarebbe un bene se tutti noi ci impegnassimo a spiegarle ai cittadini, superando facili sensazionalismi e mettendo da parte analisi semplicistiche. Perché se c’è una certezza, dopo tutti questi anni di colonizzazione, è che il silenzio piace molto le mafie.





