«A trattare con il lupo Donald ci abbiamo mandato Cappuccetto Rosso Ursula». A parlare così in un’intervista a «Repubblica» è stato il leader di Italia Viva, ma non serve essere dei renziani per capire che la frase, seppur tagliente, nasconde una domanda vera: chi deve confrontarsi con i giganti del mondo? E con quale visione? Soltanto lo scorso novembre l’ex numero uno della Bce Mario Draghi aveva avvertito l’Europa: o si parla con una voce sola o si viene divorati dalle conseguenze. L’accordo siglato a Turnberry sembra dargli ragione e ora il conto lo pagheremo noi.
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Dazi Usa-Ue, perché Draghi avrebbe trattato meglio con Trump
Difficile oggi, dopo il vertice con Trump, trovare qualcuno disposto a dire che sia andata bene. Il cosiddetto Patto di Turnberry, presentato come un’intesa “storica”, rischia in realtà di essere ricordato come l’ennesimo compromesso al ribasso, una vittoria per l’America guidata dal magnate (che giudica l’Ue una «scroccona») e una sconfitta neppure troppo silenziosa per l’industria europea. A pagare il prezzo più alto le imprese e i consumatori, con dazi che potrebbero colpire settori chiave come meccanica, moda, agroalimentare, e una fattura che in Italia si stima tra i 6,7 e i 7,5 miliardi (e parliamo di uno scenario “morbido”).
L’Europa non riesce ancora a parlare con una voce sola
Un esito inatteso? Nemmeno per sogno, era già tutto previsto. (Non mentite, lo so, l’avete letta seguendo il refrain del brano di Riccardo Cocciante!). Del resto, Mario Draghi l’aveva detto chiaramente lo scorso 15 novembre: «L’Europa ha perso il mercato dei pannelli solari perché ha sovvenzionato la domanda mentre la Cina incentivava la produzione. Non dobbiamo ripetere l’errore». La diagnosi era stata spietata: se l’Europa continua a muoversi in ordine sparso, a fare da “sussidiaria” delle grandi potenze, non potrà che arretrare. Quel giorno, all’appuntamento annuale milanese dell’Executive Lunch organizzato da Porsche Consulting, davanti alla comunità economica, l’economista romano aveva espresso un’idea chiara di politica industriale, lontana dalla megalomania burocratica e concentrata sui settori strategici, con l’obiettivo di competere sul serio nei campi dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale, dello spazio. Uno scenario possibile, ma ad una condizione: l’Unione Europea avrebbe dovuto smetterla di balbettare, e imparare a parlare con una voce sola. Proprio come fa (e ha fatto) Trump a rapporto con Ursula von der Leyen.

Trump, Draghi e la favola mancata di un’Europa autorevole
La metafora usata da Renzi, quella del lupo e di Cappuccetto Rosso, dunque, non è solo efficace. È perfidamente centrata. Trump non è il lupo di una favola, ma il lupo vero di un mondo cangiante in cui le regole si riscrivono ogni giorno, spesso senza chiedere il permesso. E Ursula von der Leyen, pur dotata di competenza e determinazione, non aveva gli strumenti né l’autorevolezza per guidare da sola una trattativa di quel calibro. Qui non si intende sminuire il suo operato: significa capire che il tempo delle figure istituzionali “presentabili”, ma deboli, è finito. Con Trump serviva una voce forte, capace di negoziare da pari a pari. E non è un caso che Draghi con esperienza diretta nei consessi globali (ex presidente della BCE, ex presidente del consiglio, ex governatore della Banca di Italia, con un curriculum più lungo dell’elenco telefonico), sia rimasto il grande assente di cui oggi si avverte la mancanza.
La lezione di Machiavelli più attuale che mai
C’è un passaggio del Principe che sembra scritto per giornate come queste. Machiavelli, parlando dei regni mal difesi, spiega che «le offese si fanno tutte insieme per farsi temere, i benefici poco a poco per farsi amare». Beh, Trump ha colpito subito e duramente: dazi del 15% su prodotti europei strategici, promesse di ulteriore protezionismo, accordi energetici imposti. L’Europa, invece, continua ad elargire benefici a rate, sperando così di essere benvoluta. Ma nel mondo delle fiabe geopolitiche, l’unico lieto fine possibile è quello che si mette a punto con intelligenza strategica. E il lupo, se non lo si affronta da lupo, torna sempre. Resta lì, in agguato, nel bosco.

Quanto ci costerà l’accordo tra Trump e Ursula von der Leyen
Le cifre parlano da sole: secondo «Fanpage», fino a 50 miliardi di export italiano rischiano di essere colpiti, in particolare nel settore della meccanica, dell’agroalimentare e della moda. Il vino, la pasta, i formaggi Dop potrebbero subire dazi fino al 15%, mentre per altri comparti, come farmaceutico e tessile, regna l’incertezza. E quest’ultima, in economia, è peggio forse della sconfitta stessa. Le esenzioni ci sono, certo: alcuni settori strategici sono stati salvati in extremis. Ma la sensazione è quella di una ritirata mascherata da tregua, ottenuta a caro prezzo. In cambio, l’Ue si è impegnata ad acquistare gas e armi statunitensi per oltre 750 miliardi di dollari in tre anni.
Il nodo è tutto politico, l’avrete capito. È legittimo chiedersi perché nessuno abbia voluto coinvolgere Draghi, o almeno seguire la sua linea. Nel 2022, proprio Renzi aveva proposto l’ex governatore di Bankitalia come guida dell’Unione Europea: una Commissione tecnica e forte, per una stagione straordinaria. Quella proposta, supportata anche da altri leader come Carlo Calenda, è finita presto nel cassetto, forse perché troppo ingombrante per le mediazioni di Bruxelles. Eppure oggi, a cose fatte, l’idea di un Draghi negoziatore non sembra così assurda. Anzi.

Il disperato bisogno di leader capaci di trattare con i lupi del XXI secolo
In sostanza, l’Europa non può continuare ad accettare che siano altri a dettare le regole del gioco; non può permettersi di subire gli accordi. Deve saperli scrivere, questo è il punto. E per farlo, servono visionari pragmatici, non solo dei semplici mediatori. Occorrono leader capaci di trattare con i lupi del XXI secolo. Draghi aveva intuito la posta in gioco. Qualcun altro, invece, ha pensato bastasse portare il cestino e sorridere. Ma nel mondo reale, la nonna non sempre si salva.
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