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Quirinale, perché l’ipotesi Draghi torna dopo le regionali

L’idea di vedere Mario Draghi al Quirinale non è un capriccio stagionale né una trovata giornalistica. È, piuttosto, la conseguenza logica di un percorso istituzionale che lo ha già portato a toccare le vette più alte: Banca d’Italia, BCE, Palazzo Chigi, fino al ruolo odierno, strategico come pochi, di guida della riflessione europea sulla competitività. Per un uomo abituato alla dimensione pubblica, il Colle non è mai stato un tabù. Un’analisi pubblicata su The Social Post, firmata da Cristina La Bella, autrice del libro “Mario Draghi. La speranza non è una strategia”, sottolinea come l’eventuale approdo al Quirinale non sarebbe mai stato, per l’economista, un gesto di vanità politica, bensì l’ultimo servizio istituzionale in ordine di tempo. Ma tra disponibilità e percorso politico, la distanza è enorme: il Quirinale, più di qualsiasi altra carica, richiede una convergenza parlamentare quasi “astrale”.

Perché l’ipotesi Draghi torna dopo le regionali

Che il nome di Draghi torni oggi, all’indomani di tre elezioni regionali che non hanno spostato nulla — Veneto, Campania, Puglia — non è un caso. In un quadro politico immobile, l’ex premier appare come l’unica figura capace di rimettere in moto ciò che si è fermato. Il quotidiano Il Tempo ha rilanciato nelle scorse ore il tema del “post-Mattarella”, inserendolo dentro un dibattito che attraversa il centro politico, o ciò che resta di esso. Si parla di figure come Ruffini, Tabacci, persino Luigi Di Maio, possibili snodi di un’area moderata in cerca di una nuova identità. Ma esiste davvero un centro parlamentare capace di orientare una partita tanto delicata? O siamo davanti a una costellazione di rapporti personali più che a un blocco coerente?

Una figura forte è un vantaggio o un vincolo per la destra?

Draghi oggi è ascoltato più a Bruxelles che a Roma, e questo non è un dettaglio. È il riferimento di governi, commissioni, istituzioni europee chiamate a gestire la transizione energetica, l’IA, la competizione globale con Usa e Cina. Un Presidente della Repubblica con questa autorevolezza sarebbe un segnale geopolitico potentissimo. Ma tutti lo vogliono davvero? La domanda è politica, non tecnica: la destra vivrebbe Draghi come un successo o come un vincolo? Un Capo dello Stato così forte potrebbe dare forza all’Italia in Europa, certo, ma rischierebbe anche di limitare il margine di manovra dell’esecutivo. E c’è il punto che nessuno pronuncia apertamente ma che pesa sullo sfondo: quale ruolo Draghi immagina per se stesso? Perché lui, come ricorda la giornalista, non cerca incarichi.

Draghi resta una rara certezza

Il Parlamento attuale, frammentato e imprevedibile, riuscirebbe a convergere su un nome così ingombrante? La storia del Quirinale insegna che le figure più forti attirano consensi larghi, ma anche opposizioni sottili e tenaci. Eppure, il fatto che il suo nome torni con insistenza non è casuale: Draghi resta una delle pochissime certezze riconosciute dai mercati, da Bruxelles e dalle istituzioni italiane.

Il Colle si costruisce: gli scenari e il fattore Crosetto

Il Quirinale non è un premio: è una costruzione. Non basta aver salvato l’euro, non basta essere rispettati in Europa, non basta avere un profilo internazionale unico. Serve altro, come ricorda Cristina La Bella: servono molti amici e ancor più “non nemici”. È una partita che richiede di attraversare maggioranza e opposizione, neutralizzare rancori, aggirare diffidenze, comporre ambizioni individuali e collettive. Ed è significativo che in questi giorni sia circolato anche il nome del ministro Guido Crosetto: un profilo distantissimo da Draghi. Se quest’ultimo entrerà davvero nella partita o resterà una suggestione utile ai giornali, lo scopriremo strada facendo. Ma una cosa è evidente:
ogni volta che il Paese cerca un punto fermo, il suo nome riaffiora. E, nel gioco del Quirinale, questo vale più di molte alleanze dichiarate.