È un orizzonte più ristretto della volta celeste quello al quale si sintonizzano milioni di italiani la sera di ogni San Silvestro. A dar loro appuntamento è il discorso del Presidente Mattarella, vera cometa laica in mezzo a tanto vociare inconsistente. I consueti auguri di fine anno sono stati trasmessi in diretta da Palazzo del Quirinale alle ore 20:30 del 31 dicembre (2023, ovviamente). Il Presidente ha fatto il proprio ingresso in solitaria, circondato dai simboli della Repubblica: il tricolore, emblema di irrinunciabile unità nazionale, la bandiera europea, ad indicare appartenenza alle istituzioni comunitarie e lo stendardo presidenziale. Sala dei Tofanelli appare sobria, adornata di un albero illuminato, ma privo di sfarzi e stelle di Natale in vaso ad infondere aria festosa.
Guerra e pace
Il nono messaggio del Presidente Sergio Mattarella è stato altrettanto misurato, frugale ma incisivo nel restituire un ritratto minuzioso della realtà impietosa che tutti coinvolge. L’esame dell’attualità è il fil rouge che accompagna 17 minuti di dissertazione in un perfetto bilanciamento fra apprensione ed incoraggiamento. Fedeli all’imparzialità istituzionale della quale è investito, le parole del Presidente sono super partes, a dimostrazione che tematiche quali: la violenza, le diseguaglianze, le lotte dei giovani e il lavoro povero, sono un duro richiamo alle orecchie di tutta la classe politica.
In apertura Mattarella ha dedicato ampio margine ai conflitti internazionali, dalla guerra in Ucraina ai recenti sviluppi a Gaza, con un solo collante «la guerra – ogni guerra – genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti». Ha espresso sdegno per l’efferato atto terroristico di Hamas ai danni di tanti civili Israeliani e specularmente rigetto per «la reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti». Ha posto sotto accusa il pretesto di interesse nazionale, abusato di sovente per affermare diseguaglianze e asservimento. Ha citato il mercato delle armi «così diffuse, fonte di enormi guadagni» per poi richiamare alla pace in uno slancio che silenzia ogni insinuazione di blando pacifismo: «parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità». La costruzione della stessa intreccia i piani micro e macro. «Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti» ma anche «respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati» e «educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera».

La violenza: un’emergenza multiforme
La violenza, nelle sue tante declinazioni, ha occupato lo spazio centrale del discorso. Prima fra tutte «la più odiosa», quella contro le donne. Le morti per femminicidio nell’anno appena concluso sono 118. Il Presidente Mattarella ha rivolto il proprio appello alle nuove generazioni con parole che arrivano dritte al cuore della questione: «Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità». Duri i richiami contro l’odio che dilaga in rete, e l’abbandono delle periferie, anticamera di rabbia e risentimento. Mattarella non ha mancato di rimproverare la cultura dello scontro disonesto, la tendenza ad identificare nemici e muovere contro di loro accuse che travolgono «il confine che separa il vero dal falso». La sensazione è che il Presidente abbia parlato alla coscienza di chi correla la propria permanenza fra le aule di Montecitorio alla costante diffamazione dell’avversario. Un vizio incallito della politica nostrana che ha colpevoli ripercussioni sull’effettiva possibilità di rispondere alle emergenze che cittadini e famiglie affrontano ogni giorno.
Il riconoscimento dei diritti civili e sociali
L’arretratezza più spregevole che la Repubblica subisce è quella che si consuma sul piano dei diritti, civili e sociali. La carrellata della vergogna esposta dal Presidente Mattarella ha in capo il lavoro povero «Il lavoro che manca. Pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione. Quello sottopagato. Quello, sovente, non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, a condizioni inique, e di scarsa sicurezza. Con tante, inammissibili, vittime». È difficile non pensare alla proposta di salario minimo, avanzata dalle opposizioni e brutalmente rinviata, per poi essere di fatto cestinata, dal governo in carica. Quando nel paese sono presenti «immani differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio». Ma la dignità del lavoro può sempre aspettare, d’altronde è ormai tristemente noto che i poveri non votino. C’è stato poi un richiamo al crollo della sanità pubblica con «liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi» e il rammendare che lo Stato deve farsi carico della sicurezza limitando la diffusione delle armi. (Strano scherzo del destino il fatto che la stessa sera sia partito un colpo dalla calibro 22 appartenuta a Emanuele Pozzolo, deputato di Fratelli d’Italia. Il bilancio è di un ferito alla coscia sinistra. Loro sì che volevano festeggiare col botto.)
L’apprensione del Presidente si è posata poi sul disorientamento dei giovani, generato dall’immobilismo della politica di fronte alla crisi ambientale e da quel diritto allo studio ostacolato nei fatti «dai costi di alloggio nelle grandi città universitarie; improponibili per la maggior parte delle famiglie». Non è mancato infine un saluto affettuoso agli anziani, depositari di esperienza e meritevoli di rispetto e gratitudine, mentre «il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto».

Gli auguri del Presidente Mattarella
Nelle conclusioni Mattarella ha incoraggiato ad abbracciare con fiducia il progresso inarrestabile dell’intelligenza artificiale a patto di «fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile». Valori identitari scolpiti nella Costituzione «solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace» da non dare mai per scontati. Da qui l’invito a partecipare attivamente alla vita civile attraverso l’esercizio del voto, unico strumento abile a plasmare le sorti del paese.«Per definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social».
È una speranza pragmatica quella che profonde gli auguri del Presidente, legittimata da quegli esempi virtuosi che nell’anno appena trascorso hanno saputo far scorrere i valori della Costituzione fra le vie e gli animi della nazione: «Nella composta pietà della gente di Cutro», «nella operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano ‘Romagna mia’», «negli occhi e nei sorrisi dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà», «a Casal di Principe. Laddove i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile, di impresa sociale, di diffusione della cultura. Tenendo viva la lezione di legalità di don Diana» così come «nel radunarsi spontaneo di tante ragazze, dopo i terribili episodi di brutalità sulle donne. Con l’intento di dire basta alla violenza. E di ribellarsi a una mentalità di sopraffazione». A tutti coloro che operano lontano dai riflettori della notorietà per dare speranza e dignità, il Presidente ha augurato «Buon anno!»





