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Quell’inaspettato cadeau di Draghi

«Il banale non esiste. Ogni momento è infinitamente ricco», scriveva Cesare Zavattini. E in effetti, tutto ci si aspettava alla Vigilia di Natale tranne che trovare sotto l’albero l’intervista esclusiva di Mario Draghi al «Corriere della Sera». L’ultima (e la prima da premier, se si esclude quella in formato ridotto concessa al Tg1 all’indomani della presa di Kabul) era arrivata a Pasqua. Il “regalo” del professor Draghi è arrivato ai partiti ben incartato: nulla era trapelato, ennesima prova di quanto sappia essere oculato l’ex dirigente della Bce, di cui si erano perse le tracce. O, forse, è purtroppo la nostra società a non essere più abituata a tanta riservatezza.

Un cadeau avvolto dal solito garbo (anche questa qualità tristemente andata perduta) e da quel sottile humour, un po’ british un po’ romano, che son state negli anni le fedeli ancelle di Mario Draghi ovunque si recasse: che fosse il Ministero del Tesoro, la Goldmann Sachs, la Banca di Italia o Palazzo Chigi. Il pregio dell’ex presidente del consiglio (e l’autorevolezza sua deriva in magna parte da questo) è che rimasto sempre fedele a sé stesso. Il successo non l’ha cambiato, giura chi lo conosce. Non una banderuola al vento, come tanti politici nostrani. Non una bussola impazzita, che strizza l’occhio ai consensi; non uno che vuole a tutti i costi piacere. Consideratelo pure un lusso, ma questo è: a Draghi non è mai importato di rendersi amabile. Un uomo che ha fatto del pragmatismo quasi «una forma di snobismo», come ha scritto una giornalista del «Corriere della Sera» qualche tempo fa.

Come diceva, però, Benedetto Croce «l’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze». In altri termini, non è importante la simpatia quanto piuttosto la competenza. E sulle doti di Draghi come economista nessuno avrà da ridire (ci auguriamo). Quel che questi ha fatto da premier, correndo il rischio anche di assumere scelte impopolari, è stato molto, sono i numeri a dirlo: «Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati». Stanco di governare? Ma quando mai: «Ero stato chiamato a fare, dopo una vita, un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito», ha spiegato l’ex governatore. Sbaglia però chi dice che Draghi si sia fatto logorare dai partiti: l’uscita di scena è stata semmai all’altezza del suo arrivo a Palazzo Chigi, dopo la caduta del Conte II.

Questo perché la crisi di governo non ha fatto altro che mettere sotto la lente di ingrandimento l’enorme divario che separa Draghi dai vari Conte, Salvini, Berlusconi. Non dimentichiamoci, infatti, che l’esecutivo guidato dall’ex dirigente della Bce nasceva proprio perché la politica italiana aveva fallito, dimostrando tutta la sua inadeguatezza nel fronteggiare l’emergenza sanitaria, la campagna vaccinale e il rilancio dell’economia. Serviva nuova linfa, c’era bisogno dell’uomo più stimato d’Europa.

«A febbraio 2021 la situazione era molto difficile. La pandemia uccideva centinaia di persone ogni giorno, la campagna di vaccinazione stentava a decollare, l’economia era ferma, c’era grande incertezza sulla riapertura delle scuole. Poi, quando si era cominciata a vedere la fine del tunnel, scoppiò la guerra. Adesso siamo in un contesto internazionale complicato, di incertezza geopolitica e di rallentamento economico globale. Tuttavia l’Italia ha mostrato di sapercela fare. Quest’anno cresceremo di quasi il 4%, più di Francia e Germania, dopo i sette trimestri di crescita consecutivi durante il mio governo. Il debito pubblico in questi due anni è calato come mai nel dopoguerra, e l’Italia è l’unico grande Paese europeo che, negli ultimi anni, è riuscito ad aumentare le proprie quote di mercato nell’export internazionale», ha dichiarato Mario Draghi al «Corriere della Sera».

Lo stesso ha spiegato poi di non avere particolari ambizioni: «Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero». Con tanto tempo libero a disposizione troverà la voglia di scrivere una sua biografia? La si leggerebbe volentieri. Polito del «Corriere della Sera», sul finale, ex abrupto gliel’ha chiesto. «Lo sa che me lo suggeriscono in molti? Longanesi temeva che ‘quando potremo raccontare la verità non ce la ricorderemo più’. Vedremo, ma devo dirle che fin da giovane mi è sempre piaciuto più il fare che il raccontare», ha concluso l’ex premier.

Draghi, che è pure un lettore raffinato, ha citato «La sua signora», volume strepitoso pubblicato da Rizzoli nel 1975, in cui Leo Longanesi prende in giro non soltanto i vizi degli Italiani, ma anche sé stesso: «Per contribuire alla mia immortalità, la signora mi consigliò di togliere una virgola al mio libro. Era la sola cosa che sarebbe passata ai posteri». Chissà…