Dal giorno in cui il presidente Mattarella gli affidò l’incarico per formare il nuovo governo, Mario Draghi è stato sulla bocca di tutti. Inevitabile, considerata la situazione in cui versava (e versa tuttora, ahinoi) il Paese e i fatti che hanno portato alla sua “chiamata”. Un Draghi “salvatore della Patria” prendeva forma di ora in ora, a partire dagli endorsement attesi, come quello degli (ex) radicali Bonino e Della Vedova, a quelli meno attesi come quello di un (ex) comico, diventato “garante” della forza politica più votata alle politiche del 2018, Grillo.
Senza dimenticare l’allora segretario del Pd, Zingaretti, e l’ex segretario Dem nonché “tragediatore seriale”, Renzi. Per finire con l’ex (ah no, lo è ridiventato) Cavaliere, Silvio Berlusconi. Ma non è finita qui, perché per “Supermario”, oltre ai meritati apprezzamenti (non pelosi come quelli legati ad interesse di bottega politica) provenienti dall’estero, da Bruxelles a Washington, arrivò in quei giorni una pioggia di complimenti. Da maitre-a-penser “liberi” a giornalisti embedded, fino ad esponenti del mondo della cultura.
Secondo noi, erano (e sono) senza dubbio alcuno meritati. Ma molti di questi apprezzamenti, “pelosi” quanto quelli della politica che voleva in quel momento evitare a tutti i costi di misurarsi con l’elettorato utilizzando la (buona) ragione della drammatica situazione del paese, avevano l’aria dell’opportunismo. Tutti innamorati di Draghi, dunque? Sì direbbe di sì, ma quel che non potevamo sapere era quanto sarebbe durato questo amore.
Bisogna fare dei distinguo, anche perché non tutte le dichiarazioni entusiaste nei confronti del premier incaricato, come detto, avevano l’aspetto della sincerità. Tra le dichiarazioni d’amore più divertenti c’era quella di Maria Stella Gelmini, l’ex ministra dell’Istruzione di Forza Italia, quella del “tunnel di neutrini che va dal Cern di Ginevra fin sotto al Gran Sasso”. Che diceva la bresciana di Draghi? “Le sue analisi sono una traccia”. Speriamo più chiara della geografia, almeno di quella dell’Abruzzo.
“Noi ci ciucceremo per qualche mese un’ammucchiata con Pd, FI, Iv, Calenda e frattaglie poltroniste di Lega e M5S guidata dai premier preferiti dai giornaloni (Cottarelli, Cartabia, Amato, Cassese, robe così: Draghi non è fesso). Una sbobba talmente immangiabile che molta gente urlerà: Ridateci Conte”, scriveva Dagospia. Non è andata così. Mario Draghi, tra insidie e tranelli continui della sua maggioranza, ha governato (bene) per 616 giorni. Non siamo sicuri, però, che il Paese abbia fatto un bel passo oltre il tunnel buio in cui era precipitato da tempo. E che se ne sia accorta praticamente subito anche la neo premier Giorgia Meloni non è affatto rassicurante.
C’è però una differenza sostanziale, oltre che di curriculum, tra la pasionaria della destra e l’ex Bce: non abbiamo assistito, questa volta, alle dichiarazioni d’amore dell’inverno 2021, la stagione che elesse Draghi salvatore della Patria. Se sia un bene o un male è assolutamente opinabile, almeno tanto quanto la capacità di Giorgia Meloni di guidare il Paese fuori dalla tempesta.





