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Come si cambia: la svolta europeista di Meloni

Nell’ultimo libro di Bruno Vespa dal titolo “La grande tempesta. Mussolini, la guerra civile. Putin, il ricatto energetico. La Nazione di Giorgia Meloni”, uscito il 4 novembre, la presidente del consiglio italiana ha dichiarato di sognare un’Europa confederale in cui vige il principio di sussidiarietà. La premier ha accusato l’attuale Ue di essere stata «invasiva nelle piccole cose e assente nelle grandi cose». E ancora: «Definirci atlantisti ma non europeisti mi pare francamente un’idiozia. Oggi tutto è estremamente ideologico». Parlando sempre dell’Ue la Meloni ha affermato con delusione: «Una politica estera europea non esiste: sulla Libia siamo andati in ordine sparso e la stessa cosa è accaduta sulla crisi ucraina. Poi, invece, vediamo che l’Europa deve occuparsi di gender…». Dichiarazioni non proprio al miele, ma senza dubbio meno “feroci” di quelle pronunciate dalla 45enne romana in passato.

È vero, non lo neghiamo, nell’ultima campagna elettorale e subito dopo le elezioni l’attuale premier è stata attenta a non commettere alcun passo falso nei confronti dell’Ue e della Nato, ribadendo la sua adesione al fronte occidentale. Ma l’inserimento del freno a mano non si può escludere che derivi da opportunismo o che semplicemente sia un effetto della “realpolitick”. Meloni è scaltra, una persona pratica. Soprattutto un’abile politica. Ma se è vero quel che diceva Octavio Paz, poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990 – «La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare», vale la pena rinfrescare la memoria con alcune “perle” di donna Giorgia.

L’8 marzo del 2014, appena eletta presidente di Fratelli d’Italia al Congresso di Fiuggi, Giorgia Meloni disse: «All’Euro serve l’Italia molto più di quanto all’Italia serva l’Euro. Lo diciamo alla sorda Germania: l’Italia deve uscire dall’Euro». L’anno successivo, sempre alla festa della donna, la leader di FdI si lasciò andare ad un’altra mordace considerazione: «Tutti abbiamo avuto il sogno dell’Europa unita. Ora ci troviamo in mano ad una banda di usurai. Ci sono principalmente interessi economici dietro all’interesse o meno verso la Grecia. Non esiste una solidarietà europea, esistono solo gli egoismi nazionali. L’Europa non esiste!». Il 24 giugno del 2016 Meloni sui social si era invece sfogata così: «Le istituzioni europee sono distanti anni luce dai problemi della gente. Lo diciamo da anni. Al referendum sulla Brexit i britannici, con il loro voto e con il loro coraggio, lo hanno ribadito con forza. Ora vogliamo che in Europa torni la democrazia, che su questi temi siano sempre i popoli a scegliere e che le istituzioni europee vengano restituite alla gente e tolte dalla proprietà dei comitati d’affari».

Il 3 marzo del 2019 intervenendo al Cpac (Associazione politica dei conservatori americani), Meloni si sfogò così: «La democrazia in Europa è diventata un inganno: i cittadini possono votare per istituzioni che non hanno il potere di decidere, mentre il loro voto non conta nulla nel funzionamento delle istituzioni che detengono il vero potere nel vecchio continente. Questa entità sovranazionale e non democratica ha imposto alle nazioni europee le scelte delle élite mondialiste e nichiliste volute dalla grande finanza: una immigrazione incontrollata per distruggere le identità europee». Il 14 aprile del 2020 durante un’intervista televisiva la leader di FdI se la prese invece con la Germania: «La soluzione non è l’uscita dall’Europa. Noi siamo indispensabili per quest’Unione europea, la possiamo rifondare e dipende anche da noi. Senza di noi l’Europa non esiste, non esisterebbe l’euro. Siamo i fondatori. Serve un’Europa che si occupi delle grandi questioni strategiche, ma senza strumenti che favoriscono qualcuno a sfavore di altri. Servono meccanismi di compensazione, come gli Eurobond. Se i tedeschi continuano a fare quelli che ‘io voglio tutto’, allora, forse, non è che dobbiamo uscire noi dall’Europa, mandiamo via i tedeschi’».

Chissà se a Bruxelles, i vertici delle Istituzioni europee hanno ben stampate nella mente tutte queste riflessioni della presidente del consiglio italiana. Vien da chiedersi se tali parole in qualche modo abbiano fatto abbassare il suo tasso di europeismo, di credibilità. A novembre scorso, senza troppi fronzoli, durante la sua prima visita alle istituzioni europee, Meloni, che ha avuto un colloquio con Ursula von der Leyen, ha fatto capire che il nuovo governo è disponibile a «collaborare» con l’Ue, ma che ha ben chiare priorità e armi per affrontarle.