La riforma della giustizia approvata dal governo Nordio-Meloni introduce una svolta storica: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri diventa parte integrante della Costituzione. La modifica tocca l’articolo 104, che finora recitava: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». A questa formula si aggiunge ora un passaggio cruciale: «Essa è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente». Una frase che, di fatto, sancisce la nascita di due carriere distinte, pur all’interno di un unico ordine giudiziario.
Due concorsi, due percorsi professionali
La conseguenza diretta della riforma sarà l’introduzione di due concorsi separati, uno per chi aspira a diventare giudice e l’altro per chi vuole intraprendere la carriera di pubblico ministero. L’aspirante magistrato, dunque, dovrà scegliere fin dall’inizio quale strada seguire: quella giudicante o quella requirente. Le leggi attuative dovranno essere varate entro un anno dall’entrata in vigore della riforma, che prevede anche norme transitorie per gestire i casi pendenti.
Si chiude così la stagione della “mobilità interna” tra i due ruoli. La riforma Cartabia del 2022 aveva già imposto un limite: il passaggio da una carriera all’altra era possibile una sola volta entro dieci anni. Ma la nuova impostazione non lascia spazio a eccezioni: chi nasce pm resterà pm, chi nasce giudice resterà giudice.
Un doppio Csm per la magistratura
La separazione delle carriere comporta anche lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura. Nasceranno due organi distinti:
- Il Csm della magistratura giudicante, che si occuperà dei giudici.
- Il Csm della magistratura requirente, dedicato ai pubblici ministeri.
Entrambi saranno presieduti dal Presidente della Repubblica, come l’attuale Csm unico.
Ne faranno parte, come membri di diritto, rispettivamente il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.
Sorteggio al posto delle elezioni
La novità più discussa riguarda però la nomina dei componenti dei due Consigli. Non saranno più eletti, ma estratti a sorte. I membri laici (un terzo del totale) saranno scelti da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento in seduta comune, mentre i membri togati saranno sorteggiati tra tutti i magistrati in servizio — giudicanti e requirenti — che possiedano i requisiti definiti da una futura legge ordinaria. Il mandato durerà quattro anni, e chi ha già fatto parte di un Csm non potrà partecipare al sorteggio successivo. Una scelta che ha scatenato forti reazioni all’interno della magistratura: l’Associazione nazionale magistrati parla di «lesione dell’autonomia e dell’autogoverno delle toghe».
Competenze e poteri ridisegnati
Con la riforma, i due Csm perdono i poteri disciplinari, oggi affidati a una sezione apposita dell’attuale Consiglio. Mantengono invece le funzioni relative a assunzioni, trasferimenti, assegnazioni, valutazioni di professionalità e conferimenti di incarichi. L’obiettivo dichiarato dal governo è rafforzare la terzietà dei giudici e ridurre ogni commistione tra chi giudica e chi accusa. I critici, invece, temono che la riforma finisca per indebolire l’autonomia della magistratura, dividendo un corpo che la Costituzione aveva finora concepito come unitario. Quel che è certo è che, dopo questa revisione costituzionale, la giustizia italiana non sarà più la stessa.





