Un annuncio arrivato a tarda sera, quasi a voler cogliere di sorpresa l’opinione pubblica internazionale. Un passo destinato a lasciare un segno, a smuovere le acque torbide di un conflitto che sembra eterno, e a mettere pressione su alleati storici. Una decisione politica, certo. Ma anche un gesto altamente simbolico. Nel cuore dell’Europa, una voce si è alzata forte, chiara, potenzialmente dirompente. E mentre il Medio Oriente brucia, e le cancellerie occidentali oscillano tra prudenza e retorica, qualcun altro ha scelto di rompere gli indugi.
Macron rompe il fronte dell’attesa
Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina a settembre. Lo ha fatto giovedì 24 luglio, nella tarda serata, con parole che hanno fatto immediatamente il giro del mondo. E mentre le reazioni ufficiali tardano, secondo la CNN anche Regno Unito e Germania si preparano a seguire la stessa strada. Un terremoto diplomatico che potrebbe ridisegnare le coordinate del dibattito internazionale sul conflitto israelo-palestinese. E che arriva in un momento in cui 11 Paesi dell’Unione europea hanno già riconosciuto la Palestina, dopo l’ondata di adesioni guidata nel maggio 2024 da Spagna, Irlanda e Slovenia. Nel mondo, oltre 140 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite riconoscono lo Stato palestinese. Ma il suo status all’Onu è ancora quello di “Stato osservatore non membro”, ottenuto nel 2012.
Il riconoscimento nel diritto internazionale
Nel linguaggio del diritto internazionale, riconoscere uno Stato significa molto più che dichiarare un’intenzione politica: vuol dire riconoscerne la sovranità, il diritto all’integrità territoriale e il pieno status di soggetto di diritto internazionale. Nei fatti, significa aprire rappresentanze diplomatiche, instaurare relazioni bilaterali formali, costruire una rete di scambi stabili. Nel caso della Palestina, però, il riconoscimento assume una valenza simbolica fortissima: è una dichiarazione politica, certo, ma anche un messaggio a Israele, agli Stati Uniti, e ai Paesi che ancora non si sono espressi. È il tentativo, per alcuni, di accelerare un processo di pace che da decenni si arena tra promesse e rinvii.
Dalla dichiarazione di Algeri a oggi
La Palestina si è autoproclamata Stato sovrano il 15 novembre 1988, con la storica dichiarazione di indipendenza letta ad Algeri da Yasser Arafat, redatta dal poeta Mahmoud Darwish. Già allora ricevette il riconoscimento di diversi Paesi, a partire da quelli della Lega Araba e del blocco sovietico, e da molti Stati del cosiddetto Movimento dei non allineati. Un’altra ondata di riconoscimenti è arrivata tra il 2009 e il 2011 dall’America Latina, con Paesi come Brasile, Argentina, Cile, Uruguay e Venezuela che hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina.
L’Europa spaccata
Nel contesto europeo, la spaccatura è evidente. L’Islanda, che non fa parte dell’Unione europea, ha riconosciuto la Palestina già nel 2011. La Svezia, il 30 ottobre 2014, è stata la prima a farlo tra i membri Ue (escludendo i Paesi dell’Est che avevano già espresso il riconoscimento ai tempi del blocco sovietico). Nel 2024, di fronte all’escalation a Gaza, sono arrivate dichiarazioni coordinate da Spagna, Irlanda, Norvegia, Slovenia e Armenia, tutte motivate dal desiderio di “rilanciare il processo di pace”. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha sottolineato la portata del gesto, ricordando che la Spagna è generalmente contraria a riconoscimenti unilaterali, come nel caso del Kosovo, per timore di precedenti interni (leggi Catalogna). Riconoscere la Palestina, quindi, è una doppia presa di posizione.
Le ambiguità italiane
E l’Italia? Resta in equilibrio. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha chiarito che l’Italia sostiene la soluzione dei due Stati, ma aggiunge: «Il futuro Stato palestinese deve riconoscere Israele e non può essere governato da Hamas». Di fatto, Roma riconosce l’Autorità Nazionale Palestinese, ma non lo Stato in senso formale.
Il G20 diviso a metà
Dieci dei Paesi del G20 hanno già riconosciuto la Palestina: tra questi, Argentina, Brasile, Cina, India, Russia, Sudafrica e Turchia. Gli altri otto — Australia, Canada, Germania, Italia, Giappone, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti — finora no. Ma con l’annuncio di Macron, anche il fronte occidentale sembra sul punto di incrinarsi.
Una questione più politica che giuridica
In ultima analisi, il riconoscimento della Palestina è meno una questione giuridica e più una questione di volontà politica. È un gesto che incide sul terreno della legittimazione internazionale, che parla ai popoli più che ai trattati. E mentre il conflitto continua a mietere vittime, ogni segnale conta. Ogni parola pesa. Ogni riconoscimento cambia, anche solo di poco, la mappa morale della comunità internazionale.





