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Meloni dice no alle armi Usa: Roma si smarca da Berlino

Un equilibrio sottile, tra diplomazia e interessi economici, tra fedeltà atlantica e autonomia strategica. È in questo contesto che si muove il viaggio di Antonio Tajani a Washington, tappa chiave di una manovra diplomatica con cui l’Italia prova a evitare il peggio nella nuova partita commerciale aperta da Donald Trump. In un clima che ancora non è quello dell’emergenza, ma che somiglia pericolosamente a un “si salvi chi può”, ogni Paese cerca di muovere le proprie pedine. E l’Italia non fa eccezione. Secondo quanto ricostruito da La Stampa, il vicepremier e ministro degli Esteri ha incontrato il segretario di Stato Marco Rubio e il rappresentante Usa al Commercio Jamieson Greer, nel tentativo di convincere l’amministrazione americana a rivedere la linea dura sulle tariffe. Trump ha già annunciato dazi fino al 30% sull’import europeo, giustificandoli con il disavanzo commerciale che penalizzerebbe gli Stati Uniti. Una tesi che Tajani ha cercato di smontare con i numeri: le imprese italiane negli Usa danno lavoro a oltre 300.000 americani.

Dazi, diplomazia e qualche apertura

Un argomento che ha fatto breccia, almeno in parte. “La vostra posizione equilibrata è stata notata”, avrebbe commentato Rubio, riconoscendo all’Italia una postura più dialogante rispetto ad altri partner europei. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intanto, da Roma ribadiva la linea della prudenza: evitare una guerra commerciale e puntare su un “accordo reciprocamente vantaggioso”. Ma per convincere davvero Trump serve parlare la sua lingua, fatta di scambi concreti. Lo ha lasciato intendere lo stesso Rubio tornando sul caso del cittadino cinese arrestato il 3 luglio a Malpensa per spionaggio: gli Usa chiedono l’estradizione, e si aspettano che l’Italia non si sottragga.

Difesa: Berlino compra, Roma no

Nel frattempo, la Germania ha già deciso di accontentare Washington sul fronte degli armamenti, annunciando l’acquisto di sistemi Patriot da girare all’Ucraina. Una mossa che l’Italia, spiegano da ambienti della Difesa citati da La Stampa, non seguirà. I motivi sono due: da un lato, i sistemi già forniti da Roma (come i Samp-T italo-francesi) rispondono a una diversa logica tecnologica. Dall’altro, lo spazio fiscale è inesistente: il nostro Paese non può permettersi nuovi maxi-acquisti militari. L’unico programma d’armamento in corso con gli Stati Uniti resta quello già avviato sugli F-35, che si estenderà nel prossimo decennio. “Non si è mai parlato di comprare nuove armi americane”, chiariscono fonti vicine alla Difesa, tagliando corto su ogni ipotesi di nuove spese.

Nato e logistica: Roma c’è

Questo non significa però che l’Italia intenda sfilarsi dal sostegno all’Alleanza Atlantica o all’Ucraina. La strada alternativa passa per la logistica. La Nato, sotto impulso del nuovo segretario generale Mark Rutte, ha proposto un “meccanismo innovativo” per sostenere il trasferimento di armamenti verso Kiev. Una delle ipotesi sul tavolo è che i Paesi europei si occupino del trasporto del materiale bellico statunitense, via mare, rotaia o aria. Anche in questo caso, spiegano dal ministero, l’Italia non si tirerà indietro.

Il paracadute (politico) di Meloni

Meloni, dal canto suo, continua a muoversi tra dossier esplosivi e margini strettissimi. Ieri, dopo aver ricevuto a Palazzo Chigi il nuovo cancelliere austriaco Christian Stocker, ha ribadito l’obiettivo comune con Bruxelles: portare i dazi americani dal 30% al 10%, soglia giudicata “sostenibile” sia da lei che dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Non si può andare molto lontano da quel numero”, ha ammonito Giorgetti, “altrimenti diventa insostenibile”. Per la premier, ogni giornata al governo è un esercizio di equilibrio: “Un lancio col paracadute”, come lei stessa ha raccontato durante il giuramento dei nuovi funzionari dei servizi. Richiamando la storia del pilota Usa Charles Plumb in Vietnam, Meloni ha ringraziato chi, dietro le quinte, ogni giorno “prepara il nostro paracadute”.

Roma si muove con cautela

Dunque, mentre Berlino sceglie la via dell’acquisto diretto, Roma si muove con cautela: niente armi in più, ma neppure passi indietro sul piano della cooperazione atlantica. La sfida ora è riuscire a convincere Trump, o chi per lui, che il valore dell’Italia sta non solo nei contratti, ma nella tenuta politica, diplomatica e industriale. Con o senza carta di credito.