C’è stato un momento, al Meeting di Rimini 2025, in cui la platea ha smesso di applaudire per ascoltare in silenzio. Poco dopo il suo ingresso, Mario Draghi ha detto tutto d’un fiato ciò che pochi, in Europa, hanno il coraggio di ammettere ad alta voce: l’illusione di contare nel mondo solo grazie al peso economico è finita. Gaza, l’Ucraina, i dazi americani, la Cina che ci considera marginali: ecco la realtà che l’ex premier ha messo sul tavolo senza giri di parole.
Draghi non aveva nessuna intenzione di fare un discorso politico (così raccontano le cronache), ma Bernard Scholz, l’anima organizzativa del Meeting, lo ha convinto. E meno male. Perché da quell’eloquio, costruito sul testo della competitività europea che, in realtà, Draghi porta con sé da mesi, è uscita una diagnosi lucida come poche. Un’analisi che ha un filo conduttore: lo scetticismo.

Lo scetticismo come metodo: cosa ha detto Draghi al Meeting di Rimini
“Lo scetticismo verso l’Europa non riguarda i suoi valori – pace, libertà, democrazia – ma la capacità delle istituzioni di difenderli”, ha detto Draghi. Ed è qui il cuore del suo ragionamento: lo scetticismo non è soltanto rifiuto, non è resa, non è populismo. Lo si può intendere anche come un metodo di lavoro. Smontare le illusioni per costruire soluzioni. Non è un caso che il termine sia ricorso più volte nel suo discorso a Rimini. Non per demolire l’Unione, ma per costringerla a cambiare pelle, come già si vide costretta a fare negli anni Ottanta e Novanta.
E se oggi l’Europa non ha più il lusso di prosperare nel mondo neoliberale fatto di regole, apertura dei mercati e riduzione dello Stato, allora deve diventare protagonista in un contesto dominato da politiche industriali, potenza militare e controllo delle tecnologie. Lo scetticismo serve a vedere “attraverso la nebbia della retorica”, ha chiarito Draghi, ma va unito ad un altro ingrediente: la capacità di trasformarlo in azione. Perché chi non tenta di scrivere la propria storia non può decidere il finale.

Un europeismo maturato col tempo
A colpire poi l’attenzione lo spazio dedicato alle domande, o meglio, l’ultimo quesito rivolto all’ex numero uno della Bce, quello più personale. L’aneddoto del giovane laureando che scrive nella sua tesi che l’euro è “una sciocchezza”, e l’uomo che quarant’anni dopo ha contribuito a salvarlo. Non è un dettaglio autobiografico: è il simbolo di un percorso intellettuale e, se vogliamo, politico. Mario Draghi non è mai stato un visionario in senso stretto. «Se cerchi una visione vai dall’oculista», diceva il tedesco Helmut Schmidt. Considerazione che il banchiere romano ha tirato in ballo al Meeting per far capire alla platea che lui non ha mai vissuto di sogni, speranze, eventualità remote. Si è definito un “europeista pragmatico, con i piedi per terra”.
Il suo attaccamento all’Europa non nasce da un’adesione astratta ai grandi principi, ma dall’esperienza concreta: gli anni accanto a Ciampi al Tesoro, la battaglia per l’ingresso dell’Italia nell’euro, la presidenza della BCE durante la tempesta finanziaria del 2012. È lì che Draghi ha imparato che l’Unione può cambiare rotta e abbattere tabù, come fece lui stesso con il “whatever it takes” che sfidò la Bundesbank.

Draghi e le sfide che attendono l’Europa
Nel discorso di Rimini c’è un doppio messaggio. Il primo è rivolto agli europeisti di professione, quelli che si accontentano di difendere il passato: non basta esibire le conquiste di ieri per affrontare le sfide di oggi. L’Europa del mercato unico e della moneta è stata la risposta giusta ad una stagione ormai tramontata. Oggi serve altro: unione sulla difesa, debito comune, investimenti tecnologici di scala continentale. Il secondo è indirizzato ai critici dell’Ue, a destra come a sinistra: indietro non si torna. Non ci conviene, e non ci salverà certo il collateralismo verso Washington o la resa alla Cina. “Trump e la Cina sono la stessa minaccia”, ha scandito Draghi, e non era un’iperbole.
Scetticismo che diventa azione
In controluce, si è intravista l’ambizione più grande: uscire dalla sterile guerra tra “pro” e “anti” Europa. Draghi ha spostato l’asse. Non più il dibattito identitario, ma quello pragmatico: come rendere l’Unione Europea all’altezza del tempo che viviamo. Per questa ragione il suo messaggio è attuale, vivo. Perché in un mondo che “non ci guarda con simpatia e non aspetta la lunghezza dei nostri riti comunitari”, l’alternativa non è tra europeismo di facciata e nazionalismo di pancia. È tra immobilismo e cambiamento.
Lo scetticismo, dice Draghi, è utile solo se si accompagna alla speranza e alla fiducia di poter incidere. Il suo appello finale ai giovani (“Trasformate il vostro scetticismo in azione”) è un invito che suona come una sfida politica, anche se lui continua a negare di volerla intraprendere. A chi gli domanda, infatti, se voglia ottenere incarichi pubblici, l’economista replica secco: “Faccio il nonno, no grazie”.
Pragmatismo che non significa cinismo
In conclusione, chi legge con attenzione tra le righe dell’ultimo discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini può scorgere molto di più che un commento al suo rapporto sulla competitività. C’è la consapevolezza che l’Europa rischia di restare irrilevante se non trova una nuova identità politica. E c’è, soprattutto, la cifra personale di Draghi: il pragmatismo che non diventa mai cinismo.
La sua massima preferita («quando i fatti cambiano, io cambio idea, e lei che fa, sir?» ) di John Maynard Keynes, non è infatti solo un vezzo intellettuale. È la sua filosofia. Ed è esattamente ciò che manca oggi alla classe dirigente europea: la capacità di riconoscere che i fatti sono mutati negli anni e cambiare idea di conseguenza. Rimini, per un giorno, ce lo ha ricordato. Qualcuno ha intravisto infine nelle parole di Draghi un sottile richiamo quirinalizio: malignità, certo. L’ex presidente del consiglio non è uomo da ammiccamenti e il rispetto per il capo dello Stato Mattarella è fuori discussione. Ma, dopotutto, che male ci sarebbe se anche Draghi sognasse qualcosa? Che tra le sue brame ci sia ancora il Colle? A volte il pragmatismo, per incidere davvero, ha bisogno di un orizzonte più alto.





