Mentre gli occhi dell’opinione pubblica restano incollati alle tensioni internazionali o agli equilibri instabili dei governi nazionali, l’Unione Europea si prepara silenziosamente a scrivere una delle sue pagine più decisive. È partito il dibattito sul quadro finanziario pluriennale 2028-2034, il prossimo grande bilancio comunitario.
Un tema apparentemente tecnico, che invece tocca il cuore del progetto europeo. Perché da qui si decide come spendere le risorse comuni, con quali priorità, con quale visione di futuro. E forse non ce ne rendiamo conto, ma questo processo è una notizia buona, anzi ottima: dice che l’Unione c’è, che pensa a lungo termine, e che continua a funzionare come spazio democratico.
Metodo europeo: il confronto come valore
Come ha scritto Sabino Cassese sul Corriere della Sera il 24 luglio, questa fase del bilancio ha un grande valore di metodo, oltre che di merito. A differenza di molti governi sempre più centralizzati, l’Europa apre il confronto. Consente agli Stati membri, e al loro interno a regioni, categorie, parti sociali, di partecipare, proporre, dissentire. È un meccanismo che magari non fa scalpore, ma che rafforza la legittimità democratica dell’Ue. In un’epoca in cui la tentazione di concentrare il potere in poche mani è forte, il fatto che l’Europa si prenda il tempo per ascoltare tutti, anche i contrari, è già una dichiarazione politica.
Una cifra importante, ma ancora troppo piccola
La bozza attualmente in discussione prevede 2mila miliardi di euro da distribuire in sette anni. Tanti? Non proprio. Rappresentano solo l’1,26% del reddito nazionale lordo complessivo dell’Unione. Una percentuale minuscola se confrontata con le spese per la difesa decise in sede NATO dagli stessi Stati membri, che hanno promesso molto di più.
Un paradosso che Cassese sottolinea bene: siamo disposti a spendere di più per proteggerci a livello militare che per costruire un’Europa più forte a livello economico e sociale. E questo ci dice molto di quanto il progetto comunitario debba ancora crescere, anche culturalmente.
Il nodo delle risorse: agricoltura in allarme
Quando si parla di bilancio, c’è sempre chi vince e chi teme di perdere. E infatti i malumori già iniziano a emergere, in particolare nel mondo agricolo. La redistribuzione delle risorse può comportare tagli o riordini che non piacciono a chi per decenni ha beneficiato di determinati fondi. Ma è anche vero che da questo bilancio dipende il volto dell’Europa di domani. E qui entra in gioco la vera posta in palio: industria, innovazione e competitività.
Draghi e Letta: l’Ue sposa la visione dei due italiani
Il cuore della proposta, e il vero segnale politico di svolta, è tutto nei 409 miliardi di euro destinati a sostenere l’industria europea e la sua competitività globale. Un salto notevole rispetto al bilancio precedente, dove quella voce pesava appena un terzo. Il messaggio è chiaro: l’Europa vuole rispondere alla sfida tecnologica, ambientale e geopolitica con politiche industriali ambiziose. E lo fa seguendo le indicazioni contenute nei due rapporti firmati da Mario Draghi e Enrico Letta, affidati a due figure italiane per delineare rispettivamente la strategia per la competitività europea e la riforma del mercato unico. In fondo, è come se questo bilancio fosse la prima vera traduzione politica delle loro visioni. Un segnale forte che l’Italia, quando vuole, può incidere davvero nei meccanismi europei.
Il difficile equilibrio tra interessi nazionali
Certo, tra le buone intenzioni e l’approvazione definitiva del bilancio ci sarà da superare uno degli ostacoli storici dell’Ue: la capacità di trovare un compromesso tra interessi nazionali spesso divergenti. Nord e Sud, Est e Ovest, agricoltori e imprenditori tech, chi vuole più coesione e chi più competitività. Ma in fondo, non è questo il compito della politica? Comporre visioni diverse in un progetto comune. È una sfida enorme, certo. Ma è anche quella che definisce la maturità di un’Unione che non può più permettersi di restare a metà strada tra statalismo e ambizione federale.
Una sfida europea che riguarda anche noi
Il bilancio europeo non è una pratica da tecnocrati. È un esercizio di immaginazione politica collettiva, dove si decide come vogliamo vivere, lavorare, innovare, difendere i nostri valori nel mondo che cambia. E se il percorso sarà lungo, tortuoso, pieno di veti e distinguo, poco importa. Il fatto che si sia aperto è già una buona notizia, e andrebbe ricordato ogni volta che sentiamo dire che “l’Europa non fa abbastanza”.





