Lunedì mattina si aprirà a Sharm el Sheik, la celebre località egiziana sul Mar Rosso, il più grande incontro internazionale dedicato al futuro di Gaza e all’attuazione del piano di pace di Donald Trump. Si tratta della riunione diplomatica più importante dall’inizio della guerra nella Striscia, e arriva in un momento in cui la comunità internazionale moltiplica gli sforzi per consolidare il cessate il fuoco e definire un nuovo equilibrio politico nella regione.
I protagonisti del vertice: presenti Meloni, Macron e Starmer
Secondo quanto comunicato dal governo egiziano, il summit sarà presieduto dal presidente Abdel Fattah al Sisi e dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sono attesi numerosi leader europei e mediorientali: Giorgia Meloni, Emmanuel Macron, Keir Starmer e Pedro Sánchez rappresenteranno l’Europa, mentre dal mondo arabo parteciperanno delegazioni di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e Indonesia. Il vertice si preannuncia come un crocevia decisivo per la diplomazia internazionale, con l’obiettivo di trasformare la fragile tregua in un percorso politico concreto. Fonti di Axios precisano che né Israele né Hamas parteciperanno ai lavori, anche perché lunedì mattina è previsto lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, uno dei punti centrali della prima fase dell’accordo di pace.
La “fase due” del piano Trump: disarmo di Hamas e governo tecnico a Gaza
Il summit di Sharm el Sheik sarà dedicato in particolare alla cosiddetta “fase due” del piano Trump, la più complessa da attuare. Dopo il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, questa fase prevede:
- il disarmo totale di Hamas;
- la nascita di un governo palestinese tecnocratico che amministri Gaza;
- la creazione di un Consiglio di pace internazionale incaricato di vigilare sulla transizione;
- il dispiegamento di una “forza di stabilizzazione internazionale” con compiti di sicurezza e addestramento.
Proprio la composizione di questa forza multinazionale è al centro delle trattative. Gli Stati Uniti hanno già annunciato l’invio di 200 soldati, alcuni dei quali sono arrivati in Israele nei giorni scorsi.
L’Italia pronta a partecipare con un ruolo attivo
Anche l’Italia farà parte della missione di stabilizzazione. Il governo starebbe valutando, secondo fonti di stampa, il rafforzamento del contingente di carabinieri che presidia il valico di Rafah dal lato egiziano. Tra le ipotesi in discussione ci sono squadre di sminamento, unità per operazioni umanitarie e sanitarie, e personale di supporto logistico. La “forza di stabilizzazione” dovrebbe restare dispiegata nel lungo periodo, con l’obiettivo non solo di garantire la sicurezza, ma anche di formare le forze di polizia del futuro governo palestinese. Si tratterebbe di un’operazione complessa, in parte simile a quelle condotte in Libano o nei Balcani, ma con un impatto politico e simbolico molto più alto, dato il peso internazionale della crisi di Gaza.
Il nodo politico: Hamas non arretra, l’equilibrio resta fragile
Nonostante il cessate il fuoco e i primi progressi diplomatici, la questione politica rimane la più delicata. Il piano di pace promosso da Trump prevede la smilitarizzazione di Hamas e la sua esclusione dal futuro governo della Striscia, ma il gruppo ha già fatto sapere di non voler rinunciare al controllo di Gaza. Il rischio di nuove tensioni è alto, e gli osservatori avvertono che la tenuta dell’accordo dipenderà dai prossimi negoziati. Come ha sottolineato un diplomatico europeo a Le Monde, «il cessate il fuoco non è la pace, ma solo una pausa nella guerra». A Sharm el Sheik si proverà a trasformare quella pausa in un nuovo inizio.





