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Il ritorno di Draghi all’evento di Bloomberg: la sua visione sull’AI e sul futuro dell’Ue

Il 5 ottobre scorso Mario Draghi è tornato a parlare in pubblico, sul palco della Citadel Future of Global Markets Conference organizzata da Bloomberg Citadel. Davanti a una platea internazionale di economisti e investitori, l’ex numero uno della Bce ha analizzato la nuova architettura del potere mondiale: dagli equilibri fra Stati Uniti e Cina all’impatto dell’intelligenza artificiale sulle economie avanzate. Un intervento denso, quasi programmatico, rimasto sottotraccia nel dibattito italiano: un vero peccato, perché offre una chiave di lettura nitida sul futuro che ci aspetta.

Il ritorno pubblico di Mario Draghi all’evento di Bloomberg

«Ci siamo spostati da un mondo che ci ha guidato per più di vent’anni, basato sulla delicatezza degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali e su regole condivise e rispettate, fondate sul libero scambio. Ora gran parte di questo è scomparso e penso che non tornerà», ha spiegato Mario Draghi. Il nuovo scenario è, secondo l’economista, «un mondo di blocchi». Difficile da prevedere, ma vi è una certezza: «La Cina diventerà l’altra grande potenza mondiale. E gli Stati Uniti e la Cina dovranno adeguarsi». Citando Henry Kissinger, Draghi ha aggiunto: «Né gli Stati Uniti né la Cina sono paesi abituati ad andare d’accordo con qualcun altro». Con aria preoccupata l’ex presidente del consiglio italiano ha poi evidenziato: «Vivremo in un mondo più rischioso di quello di cinque anni fa».

AI, potere e geopolitica: il discorso rimasto in sordina

È in questo contesto che Draghi colloca la rivoluzione tecnologica: «È anche un momento speciale in cui assistiamo all’ascesa di molte nuove tecnologie di intelligenza artificiale, che sono rivoluzionarie. Penso che il parallelismo con l’elettricità quando uscì sia abbastanza giusto. Cambierà tutti gli aspetti della nostra società». Ma non sarà un cambiamento neutro: «Sarà un mondo in cui ci saranno nuovi vincitori e vinti. I vincitori sono chiaramente i Paesi che già ospitano tecnologie digitali avanzate, come gli Stati Uniti, e in parte, in misura minore, l’Europa. Ma i vincitori saranno anche i Paesi che dispongono di risorse naturali e terre rare. I perdenti, invece, saranno i Paesi isolati, probabilmente l’Africa e la maggior parte del mondo in via di sviluppo». Secondo Draghi, il nodo decisivo sarà la produttività: «La crescita» di quest’ultima «definirà lo spazio fiscale», ha scandito. «Il dato più interessante oggi, che purtroppo non abbiamo, è quanto rapidamente l’aumento di produttività dei settori ad alta tecnologia si diffonda al resto dell’economia. La velocità di diffusione definirà tutto il resto: inflazione, spazio fiscale, politiche economiche», ha spiegato l’ex premier.

Passando ai rischi macroeconomici, Mario Draghi ha evidenziato le differenze tra Usa ed Europa. Negli Stati Uniti politiche potenzialmente inflazionistiche come i dazi sono in parte compensate da un aumento della produttività. Nell’Ue, invece, «le regole fiscali più rigide e la produttività stagnante riducono i margini di manovra». La nuova normalità, ha rimarcato, «è un mondo in cui ci saranno deficit più elevati, tassi d’inflazione più alti e tensioni con le autorità monetarie».

“Il rapporto sulla competitività europea? Non era troppo ambizioso”

A chi sostiene che il suo rapporto sulla competitività europea sia rimasto lettera morta, Mario Draghi si è sentito di replicare così: «Non era troppo ambizioso. È stato un’apertura degli occhi per l’Europa». E ha citato alla giornalista di Bloomberg Francine Lacqua i segnali di reazione: «Sono in programma cinque gigafactory con più di 100.000 CPU avanzate. L’Europa rappresenta il 50% del mercato globale delle soluzioni di automazione industriale. Si può già osservare l’integrazione verticale dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi». Poi una riflessione alla Germania, che dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha cambiato pelle: «Era un Paese in cui un politico fotografato accanto a un carro armato perdeva voti. Ora ha deciso un piano decennale da un trilione di euro per la difesa e ha persino modificato la Costituzione». Draghi ha poi dichiarato: «L’Europa era un treno che non riusciva a lasciare la stazione. Ora il treno ha lasciato la stazione e si sta muovendo lentamente. Accelererà seriamente solo quando ci sarà deregolamentazione, quando cambieranno le regole della concorrenza».

Quanto alla Cina per Mario Draghi il “decoupling” totale non è realistico. «Abbiamo scoperto quanto siamo interdipendenti», ha detto l’ex premier. «Il futuro sarà una riduzione del rischio, settore per settore, con prudenza sulle ritorsioni commerciali, perché l’economia europea dipende dal commercio molto più di quella cinese o statunitense», ha specificato. La via che l’Ue deve seguire, ha insistito, passa per «progetti comuni, strumenti finanziari condivisi e meno frammentazione legale e finanziaria».

Le considerazioni sui mercati e sul sistema bancario

Sui mercati e sul sistema bancario, Draghi ha riconosciuto il ruolo crescente della finanza privata, ma ha avvertito: «I mercati privati hanno aperto nuove frontiere del credito, offrendo soluzioni flessibili, ma serve trasparenza per evitare conflitti di interessi». A proposito delle banche, l’economista ha ammesso che «alcune rigidità potrebbero essere allentate», ma «il problema delle banche europee è anche la redditività. Prima va risolta quella, non si può ridurre la vigilanza per aumentare i profitti». Poi, una considerazione che è sembrata quasi una stoccata ai leader: «Le banche centrali continuano a riunirsi quasi ogni mese in tutto il mondo, e una volta al trimestre a Basilea, alla Banca dei Regolamenti Internazionali. È un’abitudine costante di discutere. Li rende meno ostili tra loro dei loro politici».

Mario Draghi e il ricordo dell’esperienza a Palazzo Chigi

Il tono è cambiato quando Draghi ha parlato del suo anno a Palazzo Chigi: «Credo che il momento più appagante sia stato il mio ultimo incarico come primo ministro. È un lavoro in cui, prima di tutto, vedi il risultato delle tue azioni, il che è una grande soddisfazione». Ha ricordato il contesto in cui ricevette quell’incarico: «Sono stato arruolato in questo lavoro al culmine della crisi del Covid. La nostra campagna vaccinale non stava andando da nessuna parte e quella è stata la prima cosa su cui ho dovuto intervenire». Poi la ripartenza economica: «Il Paese aveva un PIL crollato del 9% e crebbe di oltre l’11% l’anno successivo». E infine la guerra tra Mosca e Kiev: «Mi sono ritrovato in guerra quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Fu un periodo in cui un primo ministro doveva decidere dove collocare il proprio Paese. Portai quella posizione in Parlamento, e il Parlamento votò all’unanimità». Dopo una breve pausa, l’economista ha aggiunto: «È stata un’esperienza davvero emozionante, e ne sono felice e grato».

«Sono cresciuto in un mondo di liberi mercati, in cui le regole erano comunemente condivise e la politica estera americana si basava sul tatto. Ora, invece, viviamo in un mondo che richiede un linguaggio diverso: la forza è la prima cosa che vuoi ottenere, perché sei rispettato solo se sei forte», ha detto Mario Draghi. Un ammonimento più che una riflessione: nel nuovo ordine globale, l’Europa non può più permettersi di restare indietro.