Crollano vecchi muri, cambiano equilibri e, come nota ironicamente Milano Finanza, persino Donald Trump, con tutte le sue spigolosità, riesce a firmare la pace a Gaza. In questo scenario di mutamento globale, anche l’Italia riscrive uno dei suoi testi simbolo: il Testo Unico della Finanza, la “Costituzione” dei mercati voluta da Mario Draghi quasi trent’anni fa.
Il governo Meloni ha deciso di mandare in soffitta il Tuf, introducendo un impianto normativo completamente rinnovato. È la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, come osserva MF, che parla di “una revisione inevitabile, figlia dei tempi digitali, ma non priva di rischi”.
La riforma del governo e il confronto con il passato
Il primo Tuf nacque negli anni delle grandi riforme del mercato finanziario italiano: le privatizzazioni, il Trattato di Maastricht, l’avvento dell’euro. Redatto sotto la supervisione di Draghi, allora direttore generale del Tesoro, uniformava in un solo testo tutte le regole su mercati, emittenti e intermediazione finanziaria. Il nuovo impianto, invece, è frutto del lavoro di un gruppo di esperti e docenti universitari coordinati dal sottosegretario all’Economia Federico Freni, che in un’intervista a Milano Finanza ha difeso la riforma: «Non facciamo favori ai grandi gruppi, ma aggiorniamo le regole a un contesto radicalmente mutato». La bozza del nuovo Tuf, già esaminata dal Consiglio dei ministri, dovrà ora affrontare l’iter parlamentare, tra Camera e Senato, e potrebbe entrare in vigore entro pochi mesi.
Le novità principali e i punti controversi
Due sono i punti cardine del nuovo testo: la revisione delle norme sulle Opa (offerte pubbliche di acquisto) e la semplificazione per le aziende che vogliono quotarsi a Piazza Affari. Ma non mancano le perplessità. Il decreto alza al 30% la soglia per l’obbligo d’acquisto, consolidando il controllo dei grandi gruppi finanziari (da Generali a Mps-Mediobanca, da Poste a Tim) e limitando il potere dei piccoli azionisti. Un cambiamento che, secondo alcuni analisti sentiti da MF, «cristallizza gli equilibri di potere, invece di rendere il mercato più aperto».
Tra digitalizzazione e rischi di opacità
Nel testo emergono luci e ombre. Positiva la maggiore vicinanza tra autorità di vigilanza e imprese, ma fa discutere la dematerializzazione delle assemblee e soprattutto la cancellazione dell’obbligo di pubblicare sui giornali gli annunci finanziari, sostituito da comunicazioni online.
Una scelta che preoccupa molti esperti: «Nel tempo dei deepfake e della disinformazione digitale – scrive Milano Finanza – togliere ai cittadini la possibilità di leggere sui giornali ufficiali le operazioni finanziarie rischia di ridurre la trasparenza».
Le sfide future: criptovalute e stabilità del sistema
Un altro nodo riguarda la regolamentazione delle criptovalute e delle stablecoin, oggi sempre più diffuse anche in Italia. Le banche, osserva MF, stanno correndo a posizionarsi nel settore, ma manca ancora una norma chiara e condivisa tra Mef, Consob e Banca d’Italia. Come avverte Paolo Savona, presidente della Consob, «senza regole adeguate, il rischio è di ritrovarsi di fronte a un nuovo effetto subprime digitale». Il mercato ora aspetta i decreti attuativi, nella speranza che il governo Meloni corregga le distorsioni e garantisca un equilibrio tra potere dei grandi e tutela dei risparmiatori. Perché, come ricorda Milano Finanza, «la Borsa è di tutti, ma il risparmio appartiene solo agli italiani che hanno lavorato per metterlo da parte».





