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Cosa succede in Brasile dopo le rivolte dei Bolsonaristi contro Lula

Domenica 8 Gennaio 2023, in Brasile, migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno fatto irruzione presso i “centri del potere”, tra cui il Congresso, il Palazzo presidenziale e la Corte Suprema a Brasilia, capitale federale. A tre mesi dalla vittoria dell’attuale capo di stato brasiliano Luiz Inacio Da Silva Lula, i “Bolsonariani” rifiutano di accettare il risultato elettorale.

Alcuni tra la folla di manifestanti sono riusciti ad entrare nel Parlamento, oltrepassando i cordoni di sicurezza della polizia e devastando gli arredi interni. Durante le violenti proteste sono rimaste ferite 50 persone, di cui 6 in gravi condizioni. La polizia brasiliana è intervenuta nel mezzo degli scontri per ristabilire l’ordine, armandosi di gas lacrimogeni ed è riuscita ad arrestare diverse centinaia di persone. Anche le forze di sicurezza si sono impegnate a “far sgomberare” il Parlamento dai manifestanti, come ha riferito il quotidiano O Globo.

Dopo questi ultimi attacchi, il giudice della Corte suprema Alexandre de Moraes, ha destituito per 90 giorni il governatore della regione di Brasilia, Ibaneis Rocha, lo riportano i media brasiliani. Quest’ultimo si era espresso sui disordini, affermando che i responsabili avrebbero “pagato per i crimini commessi” e che egli avrebbe continuato “a lavorare per ristabilire l’ordine”.

A seguito dell’irruzione nei palazzi istituzionali dei manifestanti anti-Lula, è arrivata la decisione da parte del governo di smantellare i campi allestiti dai sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro, davanti al quartier generale dell’esercito a Brasilia. Il presidente Lula, ha definito l’attacco violento, un atto “vandalo e fascista”, ha poi dichiarato che “i responsabili saranno individuati e giudicati”, dando così il potere alle forze federali di intervenire.

L’ex presidente di estrema destra Bolsonaro è stato al centro delle polemiche nelle ultime ore, in particolare da parte del Ministro della giustizia, Flavio Dino, che lo ha giudicato “politicamente responsabile” degli attacchi alle istituzioni democratiche del paese. L’esponente del Partito liberale brasiliano, ha controribattuto su Twitter, affermando che durante il suo mandato è sempre stato nel perimetro della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia e la sacra libertà.

Queste scene di violenza in Brasile non sono del tutto nuove. Già nel novembre del 2022 si erano verificate proteste da parte di gruppi pro Bolsonaro con 230 blocchi stradali e autostradali, in circa 20 stati differenti del Brasile. Gli organizzatori delle proteste, già scrivevano sul social Telegram che con l’insediamento dell’attuale presidente Lula avrebbero messo in piedi una “resistenza armata”.

Dopo l’ascesa al potere del rappresentante del partito dei lavoratori lo scorso Ottobre, il Brasile ha concluso un capitolo di storia rappresentata da una politica di tipo autoritaristico, sostenitrice del motto “Dio, patria e famiglia”, con a capo proprio Jair Bolsonaro.

Quella di Bolsonaro è stata una politica che ha messo all’ultimo posto i diritti sociali. Infatti, con l’inizio del suo mandato l’ex presidente aveva fin da subito adottato rigide misure compromettendo i diritti delle popolazioni indigene, con la riduzione del budget del personale delle agenzie addette alla tutela dei nativi brasiliani e della protezione ambientale.

Lula da Silva ha già messo le carte in regola, confermando la sua tradizionale politica socialista che prevede la lotta alla povertà per la crescita economica, la valorizzazione delle riforme sociali e la tutela ambientale. L’attuale capo del governo brasiliano vuole anche aprirsi sul fronte internazionale, concentrandosi sull’integrazione regionale del Brasile nel contesto Latinoamericano e un commercio internazionale più equo nei confronti degli stati in via di sviluppo.