Mi sono reso conto oggi, con sconcerto, che sono passati oltre 11 anni dalla pubblicazione di questo mio editoriale su Lavoratorio.it. Eppure non è cambiato quasi nulla, se non che una delle azioni prioritarie che avevo indicato, per l’emergenza lavoro in Italia, è stata realizzata per poi essere smontata di nuovo negli ultimi anni (parlo del reddito di cittadinanza). Quindi, l’Italia senza un futuro per il lavoro è ancora salva? Sarebbe forse meglio dire “l’Italia senza futuro”, dove non riusciamo ad immaginare chi potrà pagare le pensioni di un paese sempre più vecchio, sempre arrancante nella competitività, sempre imbrigliato da burocrazia e corruzione, sempre forte coi deboli e debole coi forti. Ve lo ripropongo qui integralmente.
Domenica 6 luglio 2014 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a Monfalcone (Gorizia) per i festeggiamenti del centenario della Grande Guerra, interpellato da un giovane disoccupato ha detto “Senza lavoro per i giovani, l’Italia è finita”. Una frase senza dubbio ad effetto e pesantissima, perché pronunciata dalla più alta carica dello Stato. Eppure sono parole ovvie in tutta la loro drammaticità. Sono parole che non avremmo mai voluto sentire dal Presidente della Repubblica, perché lasciano trasparire un senso di rassegnazione, quello stesso in cui ormai versa la maggior parte degli oltre quattro milioni di disoccupati italiani, giovani e meno giovani.
Si potrebbe inoltre notare che ancora una volta l’accento è posto sulla disoccupazione giovanile, mentre si dimenticano i quasi due milioni di disoccupati in età matura, oltre i 45, 50 e 55 anni, che hanno ancora meno speranze in questo pessimo periodo per il lavoro in Italia (cliccare QUI per leggere l’ultimo dei molti appelli pubblicati su Lavoratorio.it). Sono quasi tutti padri di famiglia, che scrivono a decine ogni settimana alla nostra redazione lettere disperate: per sé e per i figli “chiedono” una possibilità, “chiedono” un lavoro.
Ma nessuno, nelle istituzioni, a partire dalle più alte cariche dello Stato si è degnato di spiegare loro che il mercato del lavoro non può ripartire se non con una terapia d’urto. Non si può creare lavoro per legge, con “decreti”, “decretini” e deleghe varie e nemmeno con la deregulation sui contratti. E’ come se volessimo curare la frattura di una gamba con l’Aspirina: potremo mai guarire in questo modo?
Al nostro paese, perché si torni a parlare di crescita, serve una profonda revisione del sistema fiscale, che riduca sostanzialmente la tassazione sul lavoro lato imprese e liberi risorse per gli investimenti, per la ricerca, per riqualificare i lavoratori e riconvertire interi settori produttivi. Tagliate le tasse, signor Presidente della Repubblica, altrimenti nessuna impresa tornerà più ad investire in questo paese e i giovani un lavoro potranno soltanto inventarselo da soli, con tutti i limiti del caso! Serve poi uno straordinario piano di orientamento nazionale, erogato a livello locale a partire dagli Informagiovani per passare ai Centri per l’Impiego pubblici e che coinvolga anche tutti gli operatori privati del mercato del lavoro. Si deve spiegare a chi cerca il lavoro che nessuno mai darà loro un impiego se si limitano ad inviare cv a pioggia: il lavoro va cercato e se non “si trova”, va immaginato, va inventato giorno per giorno. Non esiste più “il lavoro” come l’abbiamo inteso, ma dobbiamo imparare ad essere tutti professionisti, imparare a misurarci con il rischio e con il cambiamento. Questo non significa rinunciare ai diritti, ma che se ne faranno mai dei diritti cittadini che non hanno più un lavoro da cinque anni o giovani arrivati a 30 anni senza mai sperimentarlo? Serve inoltre un reddito di cittadinanza, che permetta il sostegno economico di chi ha perso il lavoro ma che accompagni realmente la persona verso un nuovo impiego o attività.
L’Italia di oggi, senza lavoro, è salva solo a patto che cambi mentalità e che la smetta di pensare che il lavoro si crei per decreto o, con tutto il rispetto, si possa trovare per intercessione del politico di turno, nemmeno se è il Presidente della Repubblica.





