Il Partito Democratico si muove ormai come se fosse incapsulato nei voleri di Giuseppe Conte. Lo si è visto in modo plastico nella vicenda delle Marche, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro e ora indagato, costretto a giustificarsi con un “ho parlato con Conte”, quasi fosse necessario il nullaosta dell’ex presidente del Consiglio per potersi candidare. Una scena che sa di sottomissione, più che di reale condivisione politica. Invece di rivendicare la propria autonomia con una frase semplice (“Io corro, chi mi vuole votare mi voti”), si è andati a Canossa dall’“avvocato del popolo”.
Ma il problema non è solo comunicativo. È strutturale. Il Pd ha confuso il desiderio di unità del campo largo con una dipendenza quotidiana da Conte, che agisce come se avesse “le chiavi” dell’alleanza progressista per diritto divino. Solo che, come giustamente osserva Mario Lavia, su “Linkiesta”, queste chiavi gliele consegna ogni giorno il Pd stesso, senza che ci sia né una base elettorale forte né un’investitura formale. È un potere che si regge sull’abitudine, non sulla forza.
Conte fa ballare la rumba, ma balla da solo
In realtà, Giuseppe Conte ha numericamente poco da offrire, specie sul territorio. E infatti, basta che qualcuno nel Pd alzi la voce (com’è avvenuto con la tardiva conferma dell’appoggio a Ricci da parte di Elly Schlein) e il leader M5s si dilegua. Nessuno ha ancora spiegato perché il Pd debba farsi umiliare pubblicamente da chi, nella pratica, ha meno struttura, meno radicamento, e sempre meno presa sull’opinione pubblica. L’episodio di ieri, con il duro scambio tra Pina Picierno e Chiara Appendino, è emblematico. Da una parte la vicepresidente del Parlamento europeo, che denuncia il “tribunale del popolo” in cui Conte si è trasformato, pretendendo di “leggere le carte” su Ricci per poi emettere una sentenza personale. Dall’altra, l’ex sindaca di Torino, che replica con tono piccato, ma senza smentire di fatto il processo sommario messo in scena.
La linea giustizialista a corrente alternata
Il problema è anche l’incoerenza. Il Movimento 5 Stelle difese Appendino nonostante una condanna. Ora pretende di fare il moralizzatore su un avversario politico, senza attendere i tempi della giustizia. È il solito giustizialismo a corrente alternata, quello che si attiva o si spegne in base alla convenienza. Il Pd, accettando questo schema, non solo si piega, ma rischia anche di legittimarlo.
De Luca, Fico e il caos campano
Come se non bastasse, Vincenzo De Luca è tornato a colpire con una bordata su Roberto Fico, sostenendo che in Campania “non ci sono nomi all’altezza”. Eppure lo stesso De Luca aveva chiuso un accordo con Conte in trattoria. Che succede? O vuole alzare la posta per sé e per la sua rete familiare, oppure sta preparando un colpo di scena, magari per riportare in pista Sergio Costa. Quel che è certo è che, mentre nel centrodestra le gerarchie sono chiare, nel campo largo regna il caos. E Conte, in questo caos, prospera, ma solo finché gli altri glielo permettono.





