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27 Gennaio, Giornata della Memoria

Scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole. (Un paio di scarpette rosse, Joyce Lussu)

Un’impronta destinata a non dileguarsi, gelida, dolente ogni anno come quello prima. Dal 2005 ogni 27 Gennaio si celebra, come istituito dalla risoluzione ONU 60/7, la Giornata internazionale della Memoria. La ricorrenza, scelta come data simbolo, commemora la Shoah, il genocidio dei genocidi. Il 27 Gennaio del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale, l’offensiva Vistola-Oder vede l’Armata Rossa liberare i superstiti imprigionati nel campo di concentramento nazista di Auschwitz. I cui cancelli, aperti e richiusi per l’ultima volta, hanno consegnato al mondo gli orrori dell’Olocausto. Ebrei, rom, portatori di handicap, omosessuali e oppositori politici, deportati e assassinati poiché ritenuti contrari alla costruzione della razza ariana. Oggi, 79 anni dopo, con giovani generazioni sempre più ignare della gravità storica dei fatti ed un aumento esponenziale degli episodi antisemiti -241 solo in Italia nel 2022 secondo il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea– è più che mai doveroso rinvigorire la Memoria. È nelle parole di Liliana Segre, testimone dell’indicibile, e di altri sopravvissuti o “araldi della Memoria”, come la stessa si definisce. Deportata all’età di 13 anni dai sotterranei della stazione di Milano, da quel binario 21 oggi sede del Memoriale, sul quale ha fatto scolpire la parola “indifferenza”. Non “odio”, come verrebbe intuitivo scegliere, ma “indifferenza”, perché: «l’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori» dichiara Liliana nell’instancabile opera di testimonianza.

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Oggi quasi come ieri

Quello che ricorre in data odierna è il Giorno della Memoria più insanguinato che abbiamo mai commemorato negli ultimi ottant’anni. Il 7 Ottobre 2023 oltre 1400 israeliani vengono barbaramente uccisi nelle proprie case dall’attacco rivendicato da Hamas, organizzazione terroristica celata in territorio palestinese. Gruppi armati provenienti dalla Striscia di Gaza hanno aperto brecce ai confini di Israele, scagliato 2500 razzi e invaso i kibbutz, cittadine agricole strutturate secondo modelli di proprietà collettiva. In risposta, il governo israeliano, guidato dall’ultraconservatore Benjamin Netanyahu, scatena quella che ha ormai assunto i chiari contorni di una “punizione collettiva” verso l’intero popolo palestinese, inaccettabile poiché quest’ultimo non coincide con Hamas. L’intento di perseguire un organizzazione terroristica internazionale con occupazioni, carri armati e attacchi indiscriminati è fallace, tanto che esperti dell’ONU ipotizzano un genocidio in corso. Tesi che si fa via via più realista dopo la pronuncia odierna del Tribunale dell’Aja. Si chiede al governo israeliano di «adottare misure per evitare un possibile sterminio dei gazawi» e portarne le prove tra un mese. Dati alla mano, seppur di dubbia attendibilità da quando Israele ha preso controllo dei registri palestinesi di nascita e morte, indicano che il 41% delle vittime sono bambini e il 25% donne. Il punto è chiaro, i vertici israeliani hanno ribadito, con termini più o meno espliciti, la mancata volontà ad una soluzione a due stati, in pieno contrasto alle risoluzioni ONU che si sono succedute dal 1947. Contraria anche alle volontà del popolo israeliano, riverso da giorni in protesta nelle piazze di Tel Aviv. Chiedono il cessate il fuoco, una tregua umanitaria per riavere i familiari ostaggi di Hamas.

«Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato» è il monito scelto dal Presidente Mattarella durante le commemorazioni odierne.