Mercoledì scorso, Sergio Mattarella ha compiuto 84 anni. E fin qui, tutto normale: è uno dei presidenti più popolari della storia repubblicana, stimato trasversalmente, osannato nelle scuole, rispettato nei consessi internazionali. Ma a sorprendere (e non poco) è stata la provenienza degli auguri ufficiali, quasi esclusivamente dal centrodestra. Una valanga di affetto, di stima, di riconoscenza. Roba da far pensare che tra le file meloniane e salviniane si sia aperto un fan club quirinalizio.
La prima a farsi viva è stata Elisabetta Casellati, puntualissima alle 8 del mattino. Poi giù a raffica: ministri, viceministri, sottosegretari. Da Urso a Pichetto Fratin, da Bernini a Tajani, tutti a intonare il ritornello su “autorevolezza, rigore, equilibrio”. Persino Matteo Salvini, solitamente avaro di convenevoli istituzionali, ha indossato l’abito della sobrietà e del rispetto. Meloni ha telefonato di persona, Palazzo Chigi lo ha fatto sapere con enfasi. A Palazzo Madama, Ignazio La Russa ha fatto alzare in piedi l’Aula per un applauso bipartisan. E il centrosinistra? In confronto, silenzioso come un coro afono. Solo qualche nota d’ordinanza, nessun entusiasmo visibile. Un capovolgimento curioso rispetto a un passato nemmeno troppo lontano, quando erano proprio i progressisti ad abbracciare il Colle e i conservatori a diffidarne.
Mattarella non è cambiato. A cambiare è la destra
Il presidente è sempre lo stesso: rigoroso, sobrio, fedele alla Costituzione, mai reticente su Europa, migranti, carceri, antifascismo. È lo stesso che ha criticato — proprio il giorno dopo gli auguri — il decreto Cortina, segnalando rilievi giuridici pesanti. Ma allora cosa spinge oggi il centrodestra a un tale slancio d’amore? Forse il fatto che, dopo anni di diffidenza, la destra ha capito che il Quirinale non è il covo oscuro dei nemici del popolo. Non più, almeno. Per decenni lo ha percepito come una roccaforte “altra”, un laboratorio di governi tecnici e di inciuci parlamentari.
Basti pensare alle bordate contro Napolitano e persino contro Scalfaro, considerato un “comunista” persino dalla destra missina. La riforma del premierato, ancora sulla carta, voleva proprio ridimensionare il ruolo del Colle. E invece, guarda caso, non se ne parla più. Silenzio tombale. Si ragiona, piuttosto, di leggi elettorali che garantiscano cinque anni di governo e la possibilità, per chi vince, di scegliersi il successore di Mattarella.
La Meloni e il Colle: dal sospetto alla confidenza
Anche Giorgia Meloni, un tempo diffidente visitatrice del Quirinale, oggi si muove nei suoi saloni con una disinvoltura che non sfugge agli osservatori più attenti. Il suo linguaggio del corpo, in occasioni ufficiali, non è più quello dell’underdog spaesata, ma di una leader che gioca in casa. La stessa che nel 2022 aveva votato contro la rielezione di Mattarella, oggi parla di “profonda stima e gratitudine”. E se dietro questo cambio di rotta ci fosse un’ambizione ben più alta? Meloni, nel 2029, avrà compiuto 50 anni, l’età minima per salire al Colle. E se proprio questo “compleanno affettuoso” fosse l’inizio di un lungo avvicinamento? In fondo, una premier che diventa presidente della Repubblica sarebbe un finale perfetto per chi è già stata celebrata da Time come statista globale. Altro che riforma costituzionale: basterebbe vincere le elezioni giuste al momento giusto.
Conclusione: la politica dell’abbraccio (strategico)
Non è Mattarella ad essere cambiato, è il barometro politico a essersi spostato. Il centrodestra ha imparato che il Quirinale non è più un nemico da abbattere, ma un alleato da conquistare. E gli auguri di compleanno, in questo scenario, non sono semplici convenevoli, ma mosse su una scacchiera che porta dritta al 2029.





