Donald Trump sembra muoversi lungo un sentiero pericoloso: da un lato afferma di voler chiudere la guerra in Ucraina “in 24 ore”, dall’altro, come osserva Repubblica, alimenta dubbi sempre più concreti sulla sua reale posizione nei confronti di Mosca. Il sospetto, per molti analisti americani, è che l’ex presidente stia preparando il terreno per sacrificare Kiev in nome di futuri accordi con la Russia. Una resa camuffata da pragmatismo negoziale.

Trump pronto a defilarsi: “L’Ucraina? Problema europeo”, il retroscena
L’interpretazione più indulgente è che Trump non abbia compreso fino in fondo la strategia di Vladimir Putin, finendo per lasciarsi manipolare. Quella più cinica (e più diffusa tra gli osservatori) è che stia deliberatamente costruendo un alibi per giustificare il fallimento della promessa elettorale sulla fine del conflitto: scaricare ogni responsabilità su Volodymyr Zelensky e prendere le distanze da un impegno che non vuole (o non può) mantenere. A rendere ancora più esplicita la posizione, sono state le sue stesse parole dopo l’ultima telefonata con il leader del Cremlino: «Ci sono di mezzo grandi ego. Ma penso che qualcosa succederà. Se non succederà, mi tirerò indietro e loro dovranno continuare».
Trump ha poi aggiunto che si tratta di “una questione europea”, che quindi spetterebbe all’UE risolvere. Un chiaro messaggio: gli Stati Uniti potrebbero defilarsi, lasciando agli europei l’onere di sostenere Kiev.

Rubio sulla difensiva: “Le sanzioni restano”. Ma basta?
A tentare di arginare le polemiche è stato il segretario di Stato Marco Rubio, parlando alla Commissione Esteri del Senato. Rubio, un tempo falco anti-russo, oggi allineato alle posizioni trumpiane, ha dichiarato: «Non è stata revocata alcuna sanzione. Ogni misura della precedente amministrazione resta in vigore».
Ma come osserva Repubblica, il punto non è ciò che è rimasto, ma ciò che è venuto meno: la volontà politica di usare davvero quelle leve.
La differenza tra ieri e oggi
Sotto l’amministrazione precedente, Washington forniva armi e sostegno a Kiev, con l’obiettivo di spingere Mosca verso una soluzione diplomatica accettabile. Oggi, al contrario, la pressione è tutta su Zelensky: accettare la pace, a qualsiasi condizione. Secondo il Wall Street Journal, il leader ucraino avrebbe già accolto le principali richieste di Trump senza ottenere nulla in cambio, mentre Putin, pur avendo respinto la tregua, ha già incassato una rinuncia: nessuna interruzione formale del conflitto, ma solo un vago “memorandum” che parte dalle condizioni di Mosca.

Putin, fiducia da vincitore
Come scrive il New York Times, Putin sente di avere il vento in poppa: l’avanzata sul terreno continua, seppur lenta, e i prezzi del petrolio si mantengono su livelli che permettono a Mosca di finanziare la guerra. L’unica vera minaccia per il Cremlino sarebbero le sanzioni secondarie o un drastico abbassamento del tetto sul prezzo del greggio al G7 in Canada. Ma Trump ha già definito le prime «una cattiva idea». Esistono poi margini d’azione al Congresso: una proposta del senatore Lindsey Graham prevede dazi al 500% per i Paesi che comprano energia dalla Russia. Ma è difficile pensare che possa passare senza l’appoggio del presidente. Putin, intanto, scommette su un Trump favorevole a normalizzare i rapporti con Mosca, senza più l’Ucraina tra i piedi. I difensori di Kiev sperano solo che, almeno su questo punto, il tycoon non si spinga oltre. Ma se l’Europa non rinsalda la sua posizione — e se Washington continua a fluttuare tra ambiguità e tentazioni isolazioniste — l’Ucraina rischia davvero di essere abbandonata. Non per un errore tattico, ma per una scelta calcolata.





