Il disegno di legge sul consenso sessuale doveva essere il segnale politico da approvare entro il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Invece si è trasformato in un nuovo terreno di scontro, non solo tra maggioranza e opposizione, ma perfino dentro il centrodestra. Da una parte c’è chi rivendica la necessità di una norma chiara e tecnicamente ineccepibile; dall’altra chi vede nelle critiche al testo il riemergere di vecchi pregiudizi sulle donne che denunciano. Sullo sfondo, la figura di Giulia Bongiorno, madre del Codice Rosso, chiamata in causa da tutti come garante di credibilità sul tema.
Salvini: “Così scritto, il ddl rischia vendette personali e tribunali intasati”
A rompere gli equilibri è Matteo Salvini, che a margine della conferenza stampa della Lega alla Camera — convocata per commentare i risultati delle regionali — mette nel mirino il ddl sul consenso.
«Il disegno di legge sul consenso è condivisibile come principio», premette il leader leghista, «ma una norma che lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo è una legge che rischia di intasare i tribunali e di alimentare lo scontro invece di ridurre le violenze». Il vicepremier rivendica il ruolo della Lega nelle norme contro la violenza di genere: «Sono orgoglioso che anche la Lega abbia contribuito alla legge sul femminicidio, e la madre del Codice Rosso, Giulia Bongiorno, non ha certo rinviato». Poi aggiunge, da avvocato: «Di fronte a un testo che avrebbe potuto lasciare grande spazio a interpretazioni discrezionali e a vendette personali, è giusto chiedere una norma puntuale e rigorosa, per evitare che litigi privati riempiano i tribunali e che migliaia di uomini e donne usino una legge scritta in modo vago per regolare conti personali, coinvolgendo anche i minori».
Salvini esclude che si possa mettere in dubbio la buona fede della presidente della Commissione Giustizia del Senato: «Non si può sospettare di Giulia Bongiorno. È tra le più scrupolose, difende da anni vittime di violenza». Il punto, insiste, è la formulazione del testo: questo “consenso preliminare, informato e attuale”, così come scritto, «lascia spazio a contenziosi strumentali, con decine di migliaia di procedimenti da parte di donne, uomini, chiunque. Un reato deve essere definito in modo netto, non lasciato alla fantasia interpretativa», conclude.
Molinari: “Non è un intoppo politico, è una questione di diritto penale”
Sulla stessa linea si colloca il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, che interviene ai microfoni di Start su Sky TG24. «Va bene voler fare cose simboliche, come approvare il testo entro il 25 novembre», premette, «ma quando si parla di diritto penale e diritti fondamentali, visto che in gioco c’è la vita delle persone, correggere un testo che ha storture è nell’interesse di tutti». Molinari difende l’operato di Bongiorno: «Nessuno può accusarla di non essere in prima linea nella difesa dei diritti delle donne. Se oggi c’è il Codice Rosso è grazie a lei». Il capogruppo sottolinea anche i tempi tecnici: «Quel testo è arrivato in Senato solo ieri: pensare che si potesse esaurire tutto in cinque minuti di esame è irrealistico. La commissione deve fare il suo lavoro, come è accaduto alla Camera».
Per Molinari non si tratta di un affossamento: «Non è un intoppo, ma una questione procedurale. Se un testo è migliorabile è giusto intervenire: questo non significa che la legge non verrà approvata».
Di Biase (Pd): “Dichiarazioni sessiste e lontane dalla realtà”
Durissima la replica della relatrice del provvedimento alla Camera, la deputata Pd Michela Di Biase, che giudica le parole di Salvini «raccapriccianti». «Sostenere che le donne denuncino gli uomini per vendette personali significa capovolgere la realtà», attacca. «Richiamare lo spettro delle false accuse come se fosse un’emergenza nazionale è prendere di peso il repertorio dei gruppi anti-femministi, che da anni cercano di delegittimare le vittime e minimizzare la violenza sessuale». Per Di Biase è grave che un rappresentante delle istituzioni «dia dignità politica a tesi infondate». E aggiunge: «Salvini dimentica — o finge di dimenticare — che stiamo parlando di violenza sessuale e di una norma pensata per tutelare le vittime. Questo è il cuore del tema: il resto è contorno intriso di pregiudizi sessisti».
La deputata richiama anche i dati: «È grave che un ministro della Repubblica ignori, o faccia finta di ignorare, le statistiche Istat: in Italia il problema è l’enorme numero di donne che subiscono violenze e non denunciano. Esiste un sommerso vastissimo, non un abuso delle denunce». Per Di Biase, la lettura di Salvini è rovesciata: «Il problema è l’esatto opposto di ciò che sostiene. Le sue parole sembrano utili solo a posizionarsi nella maggioranza e a ridimensionare la leadership di Meloni dopo le regionali, più che a prendere sul serio un tema che riguarda sicurezza e dignità delle donne».
Nordio invita alla cautela: “Nel penale anche le virgole contano”
Più istituzionale e misurata la posizione del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che pur senza entrare nel merito del testo richiama l’attenzione sul metodo. «Non ho ancora studiato a fondo il problema», premette, «posso solo ripetere che quando si interviene su una norma penale, anche le virgole hanno il loro peso». Per Nordio, una disposizione di questo tipo, «soprattutto se innovativa», deve essere «scritta in modo tecnicamente perfetto, senza lasciare spazio a interpretazioni fantasiose». Il guardasigilli ricorda che quando si modifica una norma della parte generale del codice, come nel caso della consapevolezza del consenso o del dissenso, «si toccano i nervi vitali del diritto penale».
«Non ci si può affidare all’emotività o a una elaborazione atecnica», insiste. «Occorre valutare virgola per virgola, proprio per evitare, domani, interpretazioni eccentriche». Un richiamo alla prudenza che, nel pieno della tempesta politica, suona come l’ennesimo promemoria: sul terreno del penale, i simboli non bastano, e il margine di errore è praticamente nullo.





