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Referendum 2025, i risultati in tempo reale: quorum lontano e polemiche infuocate

Tutti i principali leader politici si sono presentati ai seggi, chi con entusiasmo, chi con strategia. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha varcato l’ingresso della sua sezione elettorale ma, una volta in cabina, ha rifiutato di ritirare le schede. La premier ha motivato la scelta con la volontà di non contribuire al raggiungimento del quorum, trasformando un gesto in un segnale politico fin troppo eloquente. Al polo opposto, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha votato con la consueta sobrietà nella sua Palermo: nessuna dichiarazione, solo un sorriso cortese agli scrutatori. Persino questo atto istituzionale non è però bastato a raffreddare il clima, già rovente per la campagna lampo che ha preceduto le consultazioni.

Silenzio elettorale a singhiozzo

A turbare la domenica referendaria ci ha pensato il Comitato promotore, che ha segnalato presunte violazioni del silenzio elettorale. Alcuni presidenti di seggio, in varie città, avrebbero chiesto agli elettori fin dalla soglia se volessero tutte le schede (quattro quesiti sul lavoro e uno sulla cittadinanza). Secondo i promotori, un simile “consulto preliminare” non è solo una forzatura del regolamento, ma un comportamento «orientativo e turbativo» capace di influenzare gli indecisi e, di fatto, di depotenziare il referendum stesso.

Affluenza: numeri impietosi per i sostenitori del “Sì”

Le urne si sono ufficialmente chiuse alle 15:00. I primi dati diffusi dal Viminale – 29,15 % su 27.943 sezioni scrutinante delle 61 .591 totali – tratteggiano un quadro chiaro: il quorum del 50 %+1 è un miraggio lontanissimo. Le punte minime si registrano in Trentino-Alto Adige (circa 20 %) e in Calabria (poco sopra il 22 %), confermando un trend di scarsa mobilitazione soprattutto nelle aree periferiche o montane. A nulla sono servite le dirette social e gli appelli last minute: l’astensionismo, a quanto pare, ha vinto con largo margine.

Reazioni a caldo: chi canta vittoria – e chi mastica amaro

Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Attuazione del programma, non ha perso tempo nell’incorniciare il risultato come un test politico: «Le opposizioni hanno trasformato i cinque referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso è chiarissimo: l’esecutivo ne esce rafforzato, la sinistra ancora più indebolita.» Ancora più tranchant la vicesegretaria della Lega, Silvia Sardone, che su Facebook ha definito l’esito «devastante» per il trio Schlein-Landini-Conte. La parlamentare ha corredato il post con una card dal testo inequivocabile: «Flop clamoroso del referendum: disastro epocale per la sinistra!». Dall’altra parte della barricata, si susseguono messaggi di delusione e promesse di ricominciare la battaglia, ma per ora in sordina, forse nell’attesa di analisi più approfondite sui motivi di una partecipazione così bassa.

Cosa resta?

Con una soglia di affluenza che, allo stato attuale, si ferma sotto il 30 %, tutte le schede finiranno nel cassetto degli “atti non promulgati”. Niente abrogazioni, dunque, ma l’ennesima riflessione sullo strumento referendario, sempre più costoso e sempre meno partecipato. Nel frattempo, i sostenitori del “No quorum, no party” brindano a un successo tattico, mentre i promotori promettono ricorsi e battaglie legali per contestare ogni singola irregolarità segnalata.

Morale (provvisoria) della favola

Il Referendum 2025 si chiude con l’ennesima fotografia di un Paese diviso: un’Italia in cui il voto diretto fatica a conquistare le masse, ma riesce ancora a infiammare le polemiche. Un Paese dove persino “non ritirare le schede” diventa messaggio politico, e dove la soglia del 50 % appare, di volta in volta, un Monte Bianco da scalare senza corde. Se qualcuno cercava in queste urne la consacrazione di un nuovo spirito partecipativo, ha trovato invece l’ombra lunga dell’astensione. Ed è su quest’ombra – più che sui cinque quesiti ormai archiviati – che nei prossimi mesi si giocherà la vera partita politica.