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Pregliasco: “Il referendum? Politicizzato. Ma la crisi è più profonda”

“Hanno sbagliato a politicizzare il voto. Ma il vero problema è la disaffezione, strutturale e profonda”. Lorenzo Pregliasco, direttore dell’istituto di ricerca YouTrend, commenta su HuffPost la scarsa affluenza registrata ai referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. Circa il 30% degli aventi diritto si è recato alle urne, ben lontano dalla soglia del 50% più uno necessaria per la validità. Secondo Pregliasco, non è una novità: “Negli ultimi trent’anni solo un referendum, quello del 2011, ha superato il quorum. Ma questo non basta a spiegare tutto. C’era un fronte ampio a sostegno, con l’opposizione unita e la Cgil in prima linea, eppure non sono riusciti a uscire dalla loro cerchia militante”.

Una campagna identitaria, che ha escluso i moderati

Il limite più grave? “Non sono riusciti a parlare a un pubblico più ampio. Non tutti gli elettori della sinistra si sono mossi, certo, ma il vero errore è stato non coinvolgere chi non si riconosce in quell’area politica ma avrebbe potuto condividere le battaglie. Il voto è stato troppo identitario, quasi una chiamata alle armi”. Un errore tattico e strategico, spiega Pregliasco. “In particolare nelle ultime settimane, il referendum è diventato un tema polarizzato. Questo ha probabilmente allontanato quella fascia meno militante, che avrebbe potuto fare la differenza tra un 30% e un 35%, se non di più. La politicizzazione ha schiacciato tutto sul terreno ideologico”.

Il quorum? Da rivedere

In un Paese dove solo il 64% vota alle politiche, pretendere che i referendum raggiungano il 50% più uno diventa irrealistico. “Il quorum fu concepito in un’epoca in cui andava a votare quasi il 90% degli italiani. Oggi è anacronistico. Una revisione avrebbe senso. Persino un paradosso: se lo togli, magari torna chi voterebbe no, e alla fine partecipano più persone”, i chiarimenti di Pregliasco. E se si alzasse il numero di firme per proporre un referendum? “Potrebbe essere una soluzione. Ma nemmeno un milione di firme avrebbe fermato questa iniziativa. Il vero nodo non è il numero di firme, ma la capacità di coinvolgere”.

Referendum tecnici, elettori confusi

Un altro ostacolo è la tecnicità dei quesiti: “Questi lo erano meno di altri – basti pensare alla giustizia o alla legge elettorale – ma restano comunque astrusi. Le abrogazioni parziali sono difficili da comunicare: un conto è chiedere ‘vuoi il divorzio?’, un altro è parlare della responsabilità nei subappalti. Non è roba da talk show”. In ogni caso, ribadisce Pregliasco, il problema di fondo resta uno: “La disaffezione è strutturale”. Non basta semplificare i quesiti o cambiare la forma: “Il distacco dal voto attraversa tutte le elezioni, non solo i referendum. E non si risolve con i tecnicismi”.

Una sinistra che resta indietro

Il Partito Democratico parlava di raggiungere 12 milioni di voti. Un traguardo ambizioso: “Alla fine il 30% non è poco, se consideriamo il clima generale. Ma era chiaro che una soglia come quella dei 12 milioni serviva solo a dare un senso alla partecipazione, un modo per costruire una narrativa positiva a prescindere dal risultato”. Eppure, osserva Pregliasco, “la storia recente insegna che la sinistra spesso va meglio quando vota meno gente. Basta guardare le comunali del 2021, nelle grandi città”. Qualcuno aveva ipotizzato che la mobilitazione per Gaza potesse spingere l’affluenza. Pregliasco è scettico: “Si tratta di temi completamente diversi, e di un coinvolgimento trasversale. Magari ha aiutato, magari no. Ma non lo sapremo mai con certezza”.

Zero differenze tra i quesiti, affluenza a macchia di leopardo

Infine, nessuna sorpresa sul fatto che i vari quesiti – lavoro e cittadinanza – abbiano ottenuto lo stesso tipo di risposta. “Chi conosce un minimo i referendum sa che la gente non distingue tra un tema e l’altro: o si va a votare tutto, o si resta a casa”, ammonisce Pregliasco. E il territorio? Anche qui, tutto prevedibile: “Il centro-nord ha votato un po’ di più, ma neanche tanto. Lombardia inclusa, che pure è una regione ad alta partecipazione. Il vero crollo è al sud, dove l’affluenza è ai minimi termini in ogni tipo di consultazione”. Calabria e Sicilia in primis, dove i partiti di opposizione sono storicamente più deboli: “Lì l’astensione è una costante. Il referendum ha solo reso visibile un problema che già conoscevamo”.