Non è finita. O forse non lo è ancora. Il caso Open Arms, che sembrava chiuso con l’assoluzione pronunciata lo scorso dicembre, si riapre. La Procura di Palermo ha infatti deciso di impugnare la sentenza che aveva scagionato Matteo Salvini dall’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, in relazione ai fatti risalenti all’estate del 2019.
All’epoca dei fatti, Salvini ricopriva l’incarico di ministro dell’Interno e si oppose allo sbarco di 147 migranti soccorsi dalla nave della Ong spagnola Open Arms, lasciandola ferma per venti giorni al largo di Lampedusa, senza autorizzare l’approdo in un porto sicuro. Una decisione che sollevò polemiche feroci, accuse internazionali e un procedimento penale che ha tenuto banco per anni.
Perché Salvini era stato assolto
Il tribunale di Palermo aveva assolto Salvini con una motivazione che fece discutere: secondo i giudici, non spettava all’Italia fornire un porto sicuro (il cosiddetto Pos). La responsabilità del salvataggio e dell’accoglienza, secondo il collegio, ricadeva sulla Spagna, Stato di bandiera della Ong. La sentenza metteva in discussione il cuore dell’impianto accusatorio, sostenendo che la normativa internazionale di riferimento fosse “vaga” e “poco cogente”. In particolare, si evidenziava l’assenza di un obbligo giuridico diretto per l’Italia ad accogliere i migranti, anche in situazioni di emergenza umanitaria. E addirittura si rimproverava alla Ong di “ostinata attesa” nelle acque italiane, suggerendo che avrebbe potuto e forse dovuto dirigersi altrove. Un verdetto che aveva sollevato polemiche opposte: da un lato chi lo considerava una legittimazione dell’indirizzo politico dei “porti chiusi”, dall’altro chi vi leggeva il rischio di una pericolosa zona grigia nei diritti internazionali.
Il “ricorso per saltum”: Palermo punta dritto alla Cassazione
Ora, la Procura rilancia la sfida e presenta ricorso direttamente alla Corte di Cassazione, utilizzando uno strumento giuridico previsto in casi particolari: il “ricorso per saltum”, che consente di saltare l’appello e rivolgersi subito alla Suprema Corte per ottenere una pronuncia definitiva. La mossa dei magistrati è chiara: chiedere ai giudici di piazza Cavour di pronunciarsi sui nodi giuridici di fondo che hanno portato all’assoluzione dell’ex ministro. In particolare, si punta a chiarire quale sia l’effettivo obbligo di uno Stato, come l’Italia, quando una nave umanitaria chiede un porto sicuro. E ancora: è lecito, secondo il diritto internazionale e la nostra Costituzione, tenere a bordo per quasi tre settimane persone vulnerabili, tra cui minori, senza fornire assistenza né autorizzare lo sbarco?
Una partita ancora aperta
Il destino giudiziario di Salvini sul caso Open Arms, dunque, resta appeso al giudizio della Cassazione. Ma la posta in gioco è ben più ampia: non riguarda solo una responsabilità individuale, bensì il principio stesso di solidarietà e i limiti del potere esecutivo nella gestione dei flussi migratori. E mentre il leader della Lega continua a rivendicare con orgoglio quella linea dura, definendola ancora oggi “un atto politico a difesa dei confini italiani”, la magistratura torna a farsi sentire, segnalando che il capitolo, nonostante tutto, non è affatto chiuso.





