Un cedimento totale. Un favore all’America e un colpo durissimo per l’industria italiana. Antonio Misiani, responsabile economico del Partito Democratico, commenta così su Repubblica l’accordo siglato da Ursula von der Leyen con l’amministrazione statunitense. Per lui, ciò che è stato firmato in Scozia non è una mediazione, ma una resa senza condizioni, in cui l’Europa concede troppo e ottiene poco o nulla.
L’intesa prevede infatti una tariffa del 15% sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, un livello molto più alto rispetto a quanto auspicato nei mesi scorsi, e soprattutto senza reciprocità: mentre i prodotti europei saranno tassati pesantemente, le merci americane continueranno a entrare nel mercato UE senza dazi. Un asimmetria che, secondo Misiani, rischia di avere effetti devastanti sulla competitività delle imprese italiane. A peggiorare il quadro c’è la svalutazione del dollaro, che dalla rielezione di Trump avrebbe già perso circa il 13% del proprio valore, rendendo i prodotti europei ancora meno convenienti per i consumatori americani. Sommando le due voci (svalutazione e dazi) l’impatto sulla competitività sfiorerebbe il 30%, un colpo che molte imprese non sono in grado di assorbire.
Nel dettaglio, restano fuori dall’accordo settori chiave come la farmaceutica, ma non per questo esenti da rischi. Il presidente di Farmindustria, ricorda Misiani, ha già stimato in 2,5 miliardi di euro il danno potenziale per il comparto nel caso in cui venissero applicati dazi generalizzati al 15%. Nel frattempo, l’acciaio e l’alluminio continuano a essere colpiti da tariffe del 50%, rendendo ancora più difficile esportare in USA.
Ma non finisce qui. Oltre ai dazi, l’Europa, secondo quanto trapelato, si sarebbe impegnata ad acquisti energetici per 750 miliardi di dollari, investimenti negli USA per altri 600 miliardi, e un aumento delle spese militari nell’ambito Nato, che comporterebbe maggiori acquisti di armi statunitensi. Per Misiani, è evidente che si tratta di un affare eccellente per Washington, mentre all’Europa resta il conto da pagare. L’impatto sull’Italia, avverte il responsabile economico del Pd, sarà durissimo. È stato lo stesso ministro Giorgetti a definire “insostenibili” dazi oltre il 10%, e ora ci si ritrova con il 15% già sul tavolo. Il rischio concreto è che migliaia di imprese vengano messe in ginocchio, con oltre centomila posti di lavoro a rischio.
Intanto il governo Meloni esprime soddisfazione. Una posizione che, per Misiani, è incomprensibile e irresponsabile. L’errore, sostiene, è stato innanzitutto politico e culturale: i sovranisti hanno spinto Bruxelles verso una linea protezionista, indebolendo la posizione negoziale europea e lasciando von der Leyen senza margini. Le conseguenze ora ricadono sull’intera economia. Serve un intervento immediato. Il piano di sostegno annunciato ad aprile è scomparso dai radar, denuncia Misiani, e il governo rischia di rimanere con le mani in mano proprio nel momento più delicato. L’economia italiana sta già rallentando, e un’ulteriore frenata potrebbe portare dritti in recessione.
A livello europeo, però, c’è poco da fare. Misiani ammette che “i buoi sono usciti dalla stalla”. Ora è il momento di reagire con pragmatismo: servono nuovi accordi commerciali, a partire dal Mercosur, ma soprattutto un rilancio della domanda interna, con politiche salariali, redistribuzione e investimenti mirati. Su tutto questo, però, accusa, il governo è ancora fermo all’anno zero.





