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La barca del centrodestra prende acqua: il nodo della legge elettorale

Immaginate una barca in mare aperto. Tutti a bordo, nessuno escluso. È l’immagine che usa, protetto dall’anonimato, un esponente della Lega per spiegare il momento che vive la coalizione di centrodestra. La barca è la maggioranza. Le braccia che tengono a galla l’imbarcazione? La legge elettorale. Più braccia ci sono, più è solida la scialuppa. E con la tempesta delle prossime elezioni all’orizzonte, la tenuta delle regole del gioco diventa questione vitale.

Perché la legge elettorale fa paura (e non solo ai tecnici)

A prima vista può sembrare un tema da addetti ai lavori, roba da costituzionalisti insonni o appassionati di sistemi elettorali. Eppure, dietro a numeri e modelli di voto, c’è un calcolo squisitamente politico, soprattutto ora che mancano meno di due anni alla fine della legislatura. Non a caso, è stata Giorgia Meloni a rompere il ghiaccio, durante un intervento alla Masseria di Bruno Vespa: vuole cambiare la legge elettorale. La motivazione? Chiara e brutale: con l’attuale sistema, il centrodestra rischia di perdere. Sicuro il Senato.

Il Rosatellum non regge più: la minaccia del campo largo

Il timore è legato alla parte uninominale del Rosatellum, la legge attualmente in vigore. Nei collegi, un centrosinistra compatto — Pd, M5S, AVS, Italia Viva, +Europa — sarebbe molto più competitivo rispetto al 2022, soprattutto al Sud. E a differenza del passato, l’area progressista oggi ha un incentivo fortissimo a restare unita: battere Meloni. Il modello evocato è quello di Romano Prodi nel 2006, un’alleanza piena di tensioni ma determinata a vincere. Una nuova arca di Noè. L’elezione di Silvia Salis a Genova, con un centrosinistra allargato e coeso, ha fatto scattare l’allarme rosso a Palazzo Chigi. Meloni sa che lo scenario è realistico, e si chiede se anche Salvini sarà disposto ad abbandonare la difesa del sistema attuale per evitare la disfatta.

La Lega tentenna, ma sa di non avere scelta

Il confronto con Fratelli d’Italia è già avvenuto. E la posizione della Lega, secondo una fonte interna riportata da La Stampa, è ormai chiara: «Siamo costretti a farlo. Per necessità.» In altre parole, se Salvini si sfilasse, affonderebbe tutta la coalizione. La Lega, compresa. A condurre le trattative per conto di Meloni ci sono Francesco Lollobrigida, ministro e cognato, e Ignazio La Russa, più defilato ma molto presente. La proposta sul tavolo è una legge proporzionale con premio di maggioranza, preferenze, capolista bloccato e forse soglia di sbarramento al 3%.

Il vero obiettivo: spaccare l’opposizione e mettere in crisi Schlein e Conte

L’introduzione del nome del candidato premier costringerebbe Pd e M5S a scegliere un frontman, rompendo il patto di non belligeranza tra Schlein e Conte. A meno che non si orientino su un nome terzo, ma anche questa sarebbe una mossa rischiosa. In parallelo, le preferenze rafforzerebbero i partiti capaci di superare il 10%, premiando chi ha candidati forti sul territorio. Un vantaggio per Fratelli d’Italia, che potrebbe attirare Azione di Calenda, tentata dalla soglia al 3% e da un centrosinistra ancora privo di leadership unitaria.

La resa di Salvini: addio ai collegi, addio al vantaggio territoriale

Per la Lega sarebbe un colpo durissimo. Nel 2022, con una percentuale simile a Forza Italia, ottenne ben 94 parlamentari contro i 70 degli azzurri, grazie al dominio nei collegi uninominali del Nord. Cambiare sistema significherebbe perdere quell’arma decisiva. Eppure, sembra che Salvini dovrà cedere. Proprio per la logica della barca: meglio sacrificare un remo che affondare tutti. Ma ogni compromesso ha un prezzo. In cambio del sì alla riforma, la Lega vorrà qualcosa. Magari il Veneto? Al momento Zaia non ha sciolto la riserva sul quarto mandato, ma l’incognita pesa.

Forza Italia applaude: il ritorno delle preferenze è la chiave

C’è però un alleato che non vede l’ora di cambiare: Forza Italia. Il partito di Antonio Tajani punta tutto sulle preferenze per riportare in campo i suoi grandi elettori, figure locali che un tempo garantivano valanghe di voti al partito di Berlusconi. E così, alla fine, chi avrà il coraggio di dire no al superamento delle liste bloccate? Con gli equilibri interni al centrodestra sempre più fragili, il vero rebus non è solo come si voterà. Ma se la coalizione arriverà compatta al voto.