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Elsa Fornero: “L’austerità è tornata, anche se fingiamo di non vederla”

Nel suo editoriale pubblicato su La Stampa, Elsa Fornero offre una lettura lucida e disincantata della nuova manovra economica. L’ex ministra del Lavoro non parla per astrazione accademica, ma con il peso dell’esperienza: chi ha vissuto i giorni duri dei tagli e dei conti pubblici in emergenza sa quanto le parole “rigore” e “austerità” siano difficili da pronunciare in Italia. Eppure, sostiene Fornero, è proprio l’austerità, quella vera, non ideologica, a essere tornata, anche se molti fingono di non accorgersene. Dopo anni di campagne contro “l’Europa matrigna” e i governi “asserviti a Bruxelles”, la realtà dei vincoli di bilancio ha imposto di nuovo il suo ritmo: quello lento e obbligato dei numeri.

Il ritorno alla realtà dopo le illusioni populiste

Per anni, scrive Fornero, la politica ha giocato con le parole, promettendo libertà di spesa e condoni “definitivi”, accusando l’Unione Europea di strozzare la crescita e presentando le tasse come un “pizzo di Stato”. Oggi però, messi di fronte ai conti, gli stessi protagonisti devono riconoscere che la musica è cambiata. Il nuovo Patto di Stabilità obbliga l’Italia a ridurre stabilmente il debito pubblico, limitando drasticamente i margini d’azione. È una “camicia di forza” che, pur scomoda, abbiamo accettato. E che rende la manovra per il 2026 una legge “prudente ma povera”, con appena 18 miliardi di euro di misure espansive: meno dell’1% del Pil.

Una manovra che non guarda lontano

Fornero individua in questa legge di bilancio tre limiti fondamentali: poca incisività, poca equità, poca visione. La riduzione dell’Irpef dal 35 al 33% per i redditi medi è una misura positiva ma insufficiente, incapace di compensare l’effetto dell’inflazione. E nonostante i 137 articoli che compongono il testo, “c’è un po’ per tutti ma poco per il futuro”: la crescita resta allo “zero virgola”, sostenuta solo dai fondi del Pnrr, mentre scuola, sanità e ricerca (i pilastri dello sviluppo) continuano a ricevere risorse marginali.

La prudenza come unica bussola

Il paradosso, osserva Fornero, è che chi un tempo inveiva contro il rigore oggi ne raccoglie i frutti.
Se il bilancio fosse stato scritto dall’ala più populista del governo, l’Italia rischierebbe di tornare nel mirino dei mercati finanziari. È questo, ricorda l’economista, il prezzo della coerenza: mantenere il deficit intorno al 3% per evitare nuove procedure d’infrazione. L’austerità, dunque, non è una scelta ma una conseguenza: “Una condizione imposta dai numeri”, scrive Fornero, “che troppo spesso la politica italiana preferisce ignorare”.

L’amara lezione di Fornero

In conclusione, l’ex ministra invita a guardare oltre la contabilità del momento: la sostenibilità del debito non è solo un esercizio tecnico, ma un atto di responsabilità verso le nuove generazioni.
Fornero definisce la manovra 2026 “poca cosa”, ma intravede almeno un punto fermo: l’impegno a mantenere i conti in ordine, evitando il ritorno dell’Italia nella categoria dei “Paesi rischiosi”.
Un risultato minimo, ma necessario. Perché, conclude, “la vera austerità non è quella dei numeri, ma quella delle idee”.