A distanza di tre settimane della pubblicazione del suo report sulla competitività chiesto dalla presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen, Mario Draghi torna a parlare del futuro dell’Unione Europea. All’interno della sede del think tank Bruegel, a Bruxelles, l’ex numero uno della Bce avverte che la “sovranità” dei singoli Paesi comunitari non potrà portare a nulla di buono. Sono «semplicemente troppo piccoli per affrontare le sfide» dell’attuale contesto internazionale, ha spiegato l’economista. Concetto che, per altro, Draghi aveva ribadito, seppur in un momento politico diverso, anche nel suo primo discorso da presidente del consiglio nell’ormai lontano febbraio del 2021: «Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere».
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Rapporto competitività, Draghi torna a Bruxelles: l’errore che l’Europa non deve commettere
«In molti settori serve dimensione e si ottiene solo se ci integriamo», ha spiegato Mario Draghi. «Allora avremo i soldi, ma la prima cosa per le imprese medio piccole è essere in grado di crescere. E non abbiamo la dimensione» sufficiente a che le Pmi possano crescere e raggiungere dimensioni più grandi nell’Ue per vie delle «barriere nazionali». Con il pragmatismo che lo contraddistingue da che ha cominciato a flirtare coi palazzi del potere, Draghi ha spiegato che l’alternativa ad avere una strategia industriale europea «non è, come pensano alcuni, non avere alcuna strategia industriale», ma «avere molte strategie industriali, scoordinate tra loro. Cosa che comporta molti svantaggi». L’ex presidente della Banca Centrale Europea ha fatto notare che gli effetti di quest’approccio sbagliato sono sotto i nostri occhi: «Significa lasciare ad ogni Stato membro decidere quali tecnologie sono strategiche, significa sacrificare la concorrenza», perché le decisioni a lungo termine vengono prese «perlopiù a livello nazionale, distorcendo l’allocazione delle risorse in Europa. E significa anche risultati scadenti». Lo provano «alcuni recenti fallimenti di progetti nazionali di alto profilo». Per far capire il cuore del suo ragionamento Draghi ha esclamato: «Capiamoci: voglio che l’Europa resti aperta, voglio parità di condizioni. Dobbiamo essere ambiziosi e puntare sull’innovazione».

Rapporto competitività, Draghi a Bruxelles: “Nessuno vuole una guerra commerciale con gli Usa”
Per Mario Draghi «dovremmo sforzarci di aumentare la produttività», mantenendo «i nostri valori di prosperità, equità, sicurezza, indipendenza». Quel che propone sostanzialmente l’ex governatore della Banca di Italia è la cessione di una parte della sovranità in cambio di risorse comuni. Avremo bisogno «di denaro pubblico, e questo ha a che fare con il fatto che molti di questi grandi investimenti, soprattutto quelli più importanti, sono investimenti in beni pubblici. E sappiamo che il settore privato tende a sottofinanziare gli investimenti in beni pubblici per una serie di ragioni, una delle quali è che hanno molte ricadute». In tutto questo, «una guerra protezionistica commerciale con gli Stati Uniti» non conviene, l’Europa si danneggerebbe da sola. Il 50 per cento del nostro Pil deriva dal commercio, contro il 37 della Cina e il 27 degli Usa». Draghi ha poi insistito: «Siamo diversi dagli Stati Uniti: non possiamo costruire un muro protezionistico, non possiamo farlo e non saremmo in grado di farlo nemmeno».
L’ex premier italiano si è detto «ottimista sul fatto che non abbiamo bisogno di cambiare il finanziamento in quanto tale» dell’Unione Europea. «Se siamo d’accordo sulla direzione, se capiamo che siamo nel mezzo di questa grande transizione tecnologica» per cui «dobbiamo investire molto. Se facciamo le riforme del mercato unico», «quando ci arriveremo» i «capitali arriveranno».
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