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Caso Almasri, l’arresto in Libia riapre un dossier che il governo voleva chiudere

L’arresto di Almasri in Libia rischia di riaprire un caso che in Italia il governo aveva tentato in ogni modo di archiviare. Il Parlamento, infatti, aveva bloccato qualsiasi approfondimento giudiziario da parte del Tribunale dei ministri, negando l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Piantedosi (Interno), Carlo Nordio (Giustizia) e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. L’unica figura che avrebbe potuto essere giudicata, Barbara Bartolozzi, capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, è invece finita sotto la lente della Corte costituzionale, competente a stabilire se potrà o meno essere processata.

Le due versioni del governo

Il governo, nel tentativo di chiudere una vicenda imbarazzante sotto ogni punto di vista — sia per il mancato arresto del generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale, sia per la sua riammissione a Tripoli su un aereo di Stato — non è mai riuscito a fornire una versione univoca dei fatti. Al contrario, sono emerse due ricostruzioni contrastanti. Piantedosi ha sostenuto che Almasri dovesse lasciare immediatamente il territorio italiano per motivi di sicurezza nazionale, spiegando che la sua presenza avrebbe potuto mettere in pericolo centinaia di cittadini italiani in Libia. Nordio, invece, ha dichiarato che le carte relative al mandato di arresto gli sarebbero arrivate in ritardo, quando il generale era già ripartito, probabilmente con l’aiuto dei servizi di intelligence.

Il ruolo di Bartolozzi e l’ombra di Palazzo Chigi

Il nome di Barbara Bartolozzi, capo di Gabinetto di via Arenula, resta al centro dell’intrigo. Secondo diverse ricostruzioni, sarebbe stata proprio lei — in contatto diretto con Palazzo Chigi — a gestire operativamente la partenza di Almasri, scelta che ha poi provocato forti imbarazzi istituzionali e politici. La sua versione, tuttavia, per ora non potrà essere ascoltata, almeno finché la Consulta non deciderà se la magistratura ordinaria potrà indagare sul suo operato o se dovrà essere sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

Dalla Libia, una possibile “quarta versione”

L’arresto di Almasri in Libia potrebbe ora fornire una quarta versione della vicenda, quella del diretto interessato. Il generale, che in Italia era stato trattato con estrema cortesia — anche nel viaggio di ritorno a Tripoli —, sarebbe stato formalmente fermato per ottemperare alla richiesta della Corte penale internazionale, ma senza reali intenzioni di consegnarlo. Secondo alcune fonti diplomatiche, le autorità libiche potrebbero chiudere il caso rapidamente, limitandosi ad accettare le spiegazioni del generale e a dichiarare la questione risolta sul piano interno.

Una lezione di “segreto di Stato”

Se davvero le cose dovessero andare così, l’Italia rischierebbe di subire una beffa diplomatica: la Libia — e indirettamente la Turchia, che esercita un forte ascendente su Tripoli — darebbe a Roma una lezione sul segreto di Stato, dimostrando come si possa insabbiare una vicenda scomoda con meno clamore e più efficacia. Un epilogo che chiuderebbe il cerchio di una storia dove, tra responsabilità politiche sfumate e ragioni di sicurezza nazionale, la verità sembra ancora una volta destinata a restare lontana dai riflettori.