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Crisi greca, Angela Merkel torna ad Atene e difende ogni scelta

Quindici anni dopo Angela Merkel è tornata nel cuore della tempesta. Atene, l’epicentro della crisi finanziaria che nel 2010 mise in affanno la Grecia e rischiò di far esplodere l’intera Eurozona, ha accolto l’ex cancelliera tedesca in un clima ben diverso da quello degli striscioni e delle proteste di piazza. L’occasione è stata la presentazione del suo libro Libertà, in un luogo simbolico come il Centro culturale della Fondazione Niarchos, firmato da Renzo Piano. La “ragazza di Kohl” si è fatta vedere lì dove si è giocata una delle partite più controverse della sua lunga carriera politica. Merkel è riapparsa con la consueta compostezza e ha ricordato ai presenti la necessità delle scelte di allora.

Nessun passo indietro da parte di Angela Merkel

L’ex cancelliera ha spiegato di non aver affatto sottovalutato la gravità della situazione greca, ma di essere stata costretta a muoversi dentro i confini imposti dal diritto europeo e dalle dinamiche politiche tedesche. «Ho studiato fisica, conosco i numeri e sapevo che pochi milioni non bastavano. Dovevo avere le basi legali per sostenere il programma davanti al Bundestag», ha ammesso Angela Merkel, per poi evidenziare: «Sapevo che non si trattava solo di milioni di euro: il problema era molto più profondo». Incalzata dal direttore del quotidiano greco Kathimerini, l’ex cancelliera ha spiegato che la posizione tedesca all’inizio fu rigida. La Merkel ha parlato di «irregolarità» e ha affermato, forse alludendo alle banche, che ce n’erano anche «da parte di aziende tedesche».

«Molte volte ho fatto la parte del poliziotto cattivo, ma in Grecia dovevano tornare a una economia in equilibrio. So che questo era doloroso, ma lo Stato doveva avere entrate fiscali. Sapevamo anche che bisognava calmare la situazione e per questo ero a favore del taglio del debito, anche se mi hanno dato della pazza», ha detto con calma Angela Merkel. Il tono quello di sempre: tecnico, razionale, impermeabile al pathos. E colpisce quanto l’ex cancelliera oggi sia rimasta fedele al suo stile, anche di fronte ad una crisi che ha inciso sulla vita quotidiana di milioni di greci. A colpire davvero, però, non è stata tanto la fermezza con cui ha ribadito la sua versione dei fatti, quanto che ad applaudirla sia stata proprio una platea ateniese. Segno che il tempo è un’illusione, come sosteneva Einstein e ricorda oggi in un articolo uscito sul «Corriere della Sera» Paolo Valentino, che ha pubblicato anni fa un interessante libro sull’ex cancelliera dal titolo L’età di Merkel.

Il nodo del referendum

Un passaggio emblematico del discorso è stato quello sul referendum proposto nel 2011 dal premier George Papandreou, poi naufragato nel giro di pochi giorni. Angela Merkel ha dichiarato che quella consultazione non era gestibile in termini politici e finanziari, e che bloccarla si è rivelata la decisione più saggia. Eppure, solo quattro anni dopo, nel 2015, quando il leader di Syriza Alexis Tsipras convocò a sorpresa un altro referendum sull’accordo con la troika, Merkel non si oppose apertamente. E neppure quando Tsipras invitò a votare “no” a Bruxelles. L’apparente contraddizione resta. Ma nella logica pragmatica della cancelliera, contava solo evitare il disastro. La Grexit, come sappiamo, non ha avuto luogo: il premier greco tornò al tavolo delle trattative e accettò condizioni durissime pur di tenere il Paese nell’euro. Una scelta che aprì a Merkel lo spazio politico per respingere la linea dura del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Determinanti in quel frangente furono anche François Hollande e Matteo Renzi, schierati per salvare la Grecia e, con essa, la tenuta dell’eurozona.

La voce di Papandreou

In parallelo, George Papandreou ha voluto dire la sua. E la sua lettura è radicalmente diversa: secondo l’ex premier socialista, l’Europa ha fallito nel comprendere la natura strutturale della crisi greca, liquidandola come un problema di conti truccati e spesa pubblica fuori controllo. «Avevamo già tagliato il deficit del 5% del PIL, ma i mercati non si fidavano. Perché il problema non era solo nostro», ha spiegato al «Corriere della Sera» Papandreou. Per quest’ultimo la Grecia fu usata come capro espiatorio, anche per mandare un messaggio ad altri Paesi dell’eurozona. Le misure di austerità imposte colpirono soprattutto i cittadini più fragili, lasciando intatti i grandi squilibri. «La vera lezione è che senza solidarietà, l’Europa resta vulnerabile», ha ribadito con forza Papandreou.

Il fattore Draghi

Su una cosa, Merkel e Papandreou si son trovati d’accordo: la svolta arrivò solo grazie a Mario Draghi. Fu lui, allora presidente della Banca centrale europea, a cambiare le regole del gioco. Il suo storico discorso del luglio 2012 (“Whatever it takes to preserve the euro” ndr) segnò una frattura netta con la strategia attendista dei leader europei. In quel momento, con una semplice frase, Draghi restituì credibilità all’euro e tempo ai governi. I mercati si calmarono, gli spread scesero, gli investitori smisero di scommettere contro la moneta unica. Non servì nemmeno attivare il programma OMT (Outright Monetary Transactions): bastò la forza di una promessa credibile.

L’Europa e i suoi fantasmi

Oggi, mentre l’Europa affronta nuove incertezze, dalle guerre ai confini alle spinte disgregative interne, il fantasma della crisi greca torna a bussare alla porta. Non per ripetersi, ma per ricordare ciò che resta irrisolto: il rapporto fra rigore e solidarietà, fra sovranità nazionale e progetto comune. E se una lezione possiamo ancora trarne, forse è questa: l’unione monetaria senza coesione politica è destinata a inciampare nelle sue stesse fragilità.