Il 6 agosto 1991 Domenico Randò veniva ucciso brutalmente a Serrata, in provincia di Reggio Calabria. Vittima innocente di una faida sanguinosa che per anni ha insanguinato la Piana di Gioia Tauro, Randò fu colpito a morte mentre Antonio Albanese, presente con lui quel giorno, riuscì a salvarsi miracolosamente. A distanza di 34 anni, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani (CNDDU) ha deciso di dedicargli un ricordo pubblico, affinché la sua storia non venga dimenticata.
Una guerra senza onore nella Piana di Gioia Tauro
«Il nome di Domenico Randò – sottolinea il presidente del CNDDU, prof. Romano Pesavento – rischia di essere inghiottito nella lunga lista di caduti di una guerra senza onore». Si tratta della faida di Laureana di Borrello, che ha visto scontrarsi clan mafiosi potenti e spietati, legati agli interessi del traffico internazionale di droga e alle estorsioni. In quella guerra, le vittime collaterali non furono rare: Domenico fu una di loro.

La memoria è un dovere civile
Ricordare oggi Domenico Randò non è solo un atto di giustizia verso la sua persona, ma un gesto di resistenza civile. «Le vittime dimenticate – scrive ancora Pesavento – sono quelle di cui troppo poco si parla, che non hanno avuto piazze intitolate o libri a raccontarle». E proprio in territori dove la ‘ndrangheta ha cercato di imporsi come Stato alternativo, la memoria assume un significato ancora più forte. L’oblio, infatti, è terreno fertile per la criminalità organizzata.
Un appello alle scuole e alle istituzioni
Il CNDDU lancia quindi un invito concreto: parlare di Domenico Randò nelle scuole, nei consigli comunali, nelle biblioteche, rendere il suo nome un simbolo dell’impegno contro ogni forma di violenza mafiosa. Dove c’è conoscenza e consapevolezza, c’è anche la possibilità di spezzare il silenzio che la criminalità pretende.
Contro l’oblio, nel nome di Domenico
«Il sangue di Domenico Randò – conclude il CNDDU – non può essere archiviato come un fatto del passato. Le mafie prosperano laddove cresce l’indifferenza». Ricordarlo, dunque, non è solo un atto di pietà, ma una scelta di campo, una promessa civile: non lasciar vincere l’oblio.





