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Nati nel posto sbagliato del mondo: i bambini di Gaza e la nostra coscienza

«Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta: la verità è sempre illuminante». Le parole dell’onorevole Aldo Moro risuonano oggi come un monito impossibile da ignorare. Davanti a Gaza, alle immagini di Gaza, non ci sono mezze misure. Secondo Save the Children, in quasi due anni di conflitto, almeno 20.000 bambini sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Più di un bambino ogni ora dall’ottobre 2023. Non cifre astratte, ma vite spezzate: neonati morti prima di compiere un anno, scolari colpiti nelle aule, adolescenti privati del futuro.

Se la verità è illuminante, perché restiamo fermi davanti a Gaza?

Oltre 40.000 i feriti, 21.000 i piccoli che resteranno invalidi a vita. Le scuole sono distrutte al 97%, gli ospedali al 94%. La carestia avanza: 132.000 bambini sotto i cinque anni rischiano la vita, 135 sono già morti di fame. Gli operatori umanitari parlano di genitori costretti a seppellire i figli senza un addio, di madri e padri che vivono nel terrore quotidiano. Un dolore che non ammette parole di circostanza.

Il ricordo del 7 ottobre e il fronte politico internazionale

Ma non c’è solo Gaza. C’è anche il ricordo del 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas che uccise 1.400 israeliani: famiglie nelle case, ragazzi a un concerto, anziani e bambini. Un orrore che resta una ferita aperta. Condanna piena, senza se e senza ma. La risposta di Israele però ha superato i limiti della difesa, converrete. È diventata una campagna che ha travolto civili e bambini, fino a scuotere la coscienza internazionale. In queste settimane Londra, Ottawa e Lisbona hanno annunciato il riconoscimento formale della Palestina. Poco dopo, anche Francia, Belgio, Lussemburgo e Malta hanno preso posizione nello stesso senso. Oggi sono 145 i Paesi Onu che riconoscono l’entità palestinese. Il presidente francese Macron lo ha detto chiaramente: «Riconoscere la Palestina è l’unico modo per fermare questa spirale».

La linea dura di Netanyahu

Benjamin Netanyahu, leader di un governo di destra che ha scelto la linea più dura, ha ribadito che «uno Stato palestinese non vedrà mai la luce» e ha aggiunto che l’offensiva a Gaza continuerà «con determinazione, fino al compimento degli obiettivi di guerra fissati dal governo». Una posizione che non lascia spazio a compromessi e alimenta solo l’escalation. E mentre la politica resta ferma, nelle piazze di tutto il mondo cresce la protesta. Anche in Italia, tra cortei pacifici e scontri, si chiede un cessate il fuoco immediato.

Bambini senza colpe

Save the Children parla oggi di “guerra deliberata contro i bambini di Gaza”. Una generazione rubata. Difenderli non significa essere antisemiti. Vuol dire riconoscere che la vita di ogni bambino, israeliano o palestinese, vale allo stesso modo. E che quei bambini non hanno colpe: sono semplicemente nati nel posto “sbagliato” del mondo, prigionieri di una geografia che li ha condannati prima ancora che potessero parlare o camminare.

La domanda inevitabile che resta

E allora la domanda è inevitabile: se restiamo fermi, domani come guarderemo in faccia i nostri figli? Che cosa diremo ai nostri nipoti quando ci chiederanno dove eravamo, mentre ventimila bambini venivano uccisi in silenzio? Perché la verità, come ricordava Aldo Moro, illumina sempre. Ma a noi resta il dovere di non spegnerla.