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Ennio Morricone, a cambiargli la vita fu una bocciatura

È considerato uno dei massimi autori della musica cinematografica, si parla di oltre quattrocento colonne sonore originali. Per Ennio Morricone l’aggettivo “leggendario” non è eccessivo. Anzi, al suo cospetto ci si accorge del triste abuso che a volte si fa di certe parole. Arrangiatore, compositore, esecutore e direttore, questi ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera tanti riconoscimenti: il Leone d’oro alla carriera in occasione della 52° Mostra del cinema di Venezia (1997), l’Oscar alla carriera (2007), l’Oscar alla miglior colonna sonora per le musiche del film The hateful eight di Q. Tarantino (2016), tre Golden Globes e, tra il 1988 e il 2013, ben nove David di Donatello.

Nel 2016 gli è stata inoltre attribuita una stella nella celebre Hollywood Walk of Fame. Nel 2017 è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Un artista di cui non possiamo non essere orgogliosi. Ad oltre due anni dalla morte, sopraggiunta il 6 luglio del 2020, «Il Corriere della Sera» ha pubblicato un’inedita intervista a cura di Walter Veltroni, in cui Ennio Morricone ha ripercorso gli esordi, i primi successi e i traguardi faticosamente raggiunti. Gusti musicali, retroscena e aneddoti deliziosi che fan capire l’uomo che si celava dietro il mito. Un genio tutto italiano.

Ennio Morricone ha cominciato a scrivere musiche per i film nel 1961. La pellicola si intitolava “Il Federale”, era diretta da Luciano Salce. «I primi anni feci soltanto film suoi. Il secondo era “La voglia matta”, il debutto di Catherine Spaak. Il lavoro nel cinema è divertente, ma difficile. Molti registi, non Giuseppe Tornatore che ha una vasta conoscenza, mi chiedevano di scrivere musiche per i loro film, ma non avevano la cultura musicale per capire e quindi io finivo con lo scontrarmi. Perché il problema del compositore del cinema è quello di essere trino: per il pubblico, per il regista che deve capire per primo, e poi per la dignità di sé stessi: non puoi fare cose che non ti piacciono».

Poi l’incontro con un vecchio compagno di scuola, Sergio Leone: «Mi chiamò perché aveva sentito le musiche di due miei film, un western italiano di Caiano e un altro spagnolo. Mi chiese di fare la colonna sonora per “Per un pugno di dollari”. Misi il fischio, il marranzano, la frusta, l’incudine e tanti altri suoni. In ‘Un pugno di dollari’ ci fu un problema quando in moviola il montatore, nel duello finale tra Volonté e Clint Eastwood, collocò un pezzo di tromba tratto da un film americano. Io dissi “Sergio, ti piace questa musica?”. “Sì, ci sta bene”. “Allora non faccio il film perché, se sulla scena madre del film, io devo rinunciare al pezzo più importante, io non lo faccio”. Sergio mi disse “Allora fa quello che ti pare, però la tromba deve suonare”. “Va bene, la tromba deve suonare”. Presi un pezzo che avevo scritto molti anni prima per la televisione, per i “Drammi marini” di O’Neill, e lo misi nel film di Sergio. Il pezzo andò bene, piacque a Leone. Lui fu soddisfatto, ma era convinto che avessi copiato. Tanti anni dopo gli dissi: “Guarda che ho preso un pezzo che avevo scritto anni prima” “Che cavolo dici!”. Sergio mi disse “Per favore, fammi ascoltare sempre i pezzi che non hai usato o che hanno scartato gli altri registi. Fammi sentire gli scarti. Perché tanto i registi non capiscono niente di musica”». 

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Lo stesso capitò con Franco Zeffirelli: «Andai in America per fare questo film e parlai con Zeffirelli. Sono stato otto giorni a scrivere perché lui tardò all’appuntamento, in albergo composi un pezzo. Quando arrivò, gli feci sentire quello che avevo scritto, gli piacque molto e ci mettemmo al montaggio. Però arrivato in moviola ad analizzare il brano, disse: “Qua ci mettiamo un pezzo di un cantante americano”. “Scusa, la musica del film è mia, non ci sto”. Vado dal produttore e dico che rinuncio. Avevo firmato il contratto e gli diedi indietro anche i soldi. La melodia che avevo scritto per quel film era il “Tema di Deborah” che Sergio Leone ha usato in “C’era una volta in America”», ha raccontato Morricone.

Poi qualche curiosità su alcuni elementi innovativi inseriti nelle sue composizioni musicali, come lo scacciapensieri. «Volevo strumenti non usati, non ho pensato che il film raccontasse solo l’America. Le percussioni, i suoni che sceglievo erano di tutto il mondo, perché lo scacciapensieri esiste anche in Corea, è solo un po’ più grande. Pensai di dare una caratteristica diversa, unica per quel film e adoperai strumenti che non si usavano mai. Andò bene, piacque a Sergio, la frusta, i cavalli…», ha spiegato Morricone. Oppure il classico fischio nei film western: «Non ricordo se l’idea del fischio fu mia o di Sergio. Forse mi suggerì “Il tema fallo fare al fischio”. Il fischiatore fu Alessandroni che fischiava benissimo. Anche in “Per qualche dollaro in più”. Abbiamo continuato su quella linea, mi sono imitato nella ricerca di quegli strumenti strani, però la musica finiva col rassomigliarsi. Per “Il buono, il brutto, il cattivo” Sergio mi disse “Continua così”. “Scusa Sergio, ma non si può andare avanti così per tutta la vita, bisogna cambiare”. Mi disse: “Fai un po’ te”. Quel film secondo me è il più bello che lui abbia fatto. Io cambiai un po’ e, insomma, la musica di quel film è al secondo posto nella classifica americana della musica da film del Novecento. Al primo c’è quella di Williams per “Guerre Stellari”».

Ennio Morricone ha lavorato, tra i tanti, anche con Pier Paolo Pasolini. Il film era «Uccellacci e uccellini»: «L’incontro tra Pasolini, me e Enzo Ocone che era il direttore di produzione fu in qualche maniera drammatico. Lui mi portò una lista delle musiche che avrei dovuto adoperare nel film. Io dissi “Scusi io scrivo musica, non posso fare quella degli altri, ha sbagliato a chiamare me”. Lui rispose subito: “Faccia quello che vuole”. Io ho fatto quello che volevo, però Pasolini mi disse anche “Mi devi fare un favore, mi devi mettere una citazione da un tema di Mozart”. Lui mi indicò anche la scena e con un piffero feci questa citazione. Lui ebbe poi una bellissima idea: i titoli di testa cantati, unico caso al mondo. Li fece eseguire da Domenico Modugno. Pasolini scrisse il testo, i nomi con rime collegate, io la musica. Era un arrangiamento molto vario perché, secondo quello che diceva il testo, cambiai le orchestrazioni, come per giocare. Dopo che Modugno ha cantato il mio nome come autore delle musiche ho messo persino delle risate. Poi fischietti, il soprano che fa dei gorgheggi, tutto scherzoso e divertente». Parole che svelano il dietro le quinte di pellicole che hanno segnato il nostro cinema.

«Io ho cominciato suonando la tromba, e così ho cominciato a fare gli arrangiamenti per la radio. Poi mentre facevo gli arrangiamenti per la radio li ho fatti per la televisione. Poi dopo la televisione mi hanno chiamato per i film, poi ho cominciato, l’avevo lasciata, a scrivere la musica cosiddetta assoluta, non la scrivevo da anni. È questa la storia della mia vita», le battute finali di quello straordinario compositore che il mondo ci invidia. E pensare che a cambiargli la vita fu una bocciatura: «Il fatto che io sia considerato ancora un compositore esclusivamente nel cinema mi disturba un po’, perché mi è rimasto l’orgoglio che mi veniva dalla classe di Petrassi e da Petrassi stesso. Petrassi, il giorno dell’esame in Conservatorio, mentre lo accompagnavo a casa mi disse: “Non prendere nessun impegno per due anni, perché allora avrai una sorpresa che io ti procurerò. Sorpresa che non c’è stata, perché lui venne a sapere che facevo gli arrangiamenti. Forse è stato un bene: voleva mettermi in un Conservatorio ad insegnare composizione. Io poi feci il concorso per diventare direttore del Conservatorio di Sassari. Mi bocciarono, arrivai quarto. Fu la mia fortuna». Anche le sconfitte servono, a volte, anche quello che non avviene conviene. E la storia di Morricone ne è un magnifico esempio.