Oggi è il giorno della telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin. Un confronto delicato, che preoccupa le cancellerie europee e agita Kiev. I cosiddetti volenterosi europei — Germania, Francia, Regno Unito — si sono mossi per tempo, decisi a non restare ai margini. E così, nella notte, i leader di Berlino, Londra e Parigi hanno parlato direttamente con il presidente americano, alla vigilia del suo colloquio con lo “zar”, previsto alle 16 ora italiana. All’ultimo momento, anche l’Italia si è unita al gruppo.
A confermare il contenuto della chiamata è Downing Street: “I leader hanno discusso la necessità di un cessate il fuoco immediato e l’ipotesi di nuove sanzioni qualora Putin non prendesse sul serio il percorso negoziale”. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, da Roma, ha provato a trasmettere ottimismo: “Possiamo solo sperare in nuovi progressi. La mia impressione è che europei e americani siano determinati a collaborare per porre fine alla guerra”.
Cosa vogliono davvero gli europei
Al di là delle frasi di rito, la mossa dei leader europei ha avuto almeno tre obiettivi precisi:
- Capire le reali intenzioni di Trump nei confronti di Putin, dopo l’ennesima minaccia arrivata ieri dal Cremlino: “Abbiamo forze e mezzi per completare quanto iniziato nel 2022”, ha dichiarato il presidente russo.
- Concordare nuove sanzioni, anche più dure: dal petrolio ai provvedimenti “secondari” contro paesi terzi — come la Cina — che sostengono Mosca.
- Evitare un’esclusione dell’Europa dai negoziati di pace, difendendo al tempo stesso le richieste di Kiev ed evitando che Trump ceda a troppe concessioni.
Il timore non è infondato: lunedì scorso, al vertice dei Weimar+ a Londra, Trump aveva spiazzato tutti annunciando (senza preavviso) un colloquio diretto tra Zelensky e Putin a Istanbul — incontro poi sfumato. Nessuna consultazione con i partner europei, né con lo stesso Zelensky. Una mossa unilaterale che ha irritato Londra e costretto il presidente ucraino a rincorrere una diplomazia improvvisata.

Meloni prima fuori, poi dentro
All’ultimo minuto si è inserita anche Giorgia Meloni. Giovedì scorso, al vertice europeo di Tirana, aveva detto addio al gruppo dei volenterosi: “Siamo contrari all’invio di truppe europee in Ucraina”. Sembrava un passo indietro strategico, ma isolante. E invece, dopo un colloquio telefonico privato con Trump sabato scorso (emerso solo ieri), la premier italiana ha deciso di riallinearsi. Una scelta ben vista dai partner europei, che faticavano a comprendere l’autoesclusione dell’Italia in un momento tanto delicato. L’impressione è che, pur con molte cautele, anche Roma voglia ora evitare l’irrilevanza.

Zelensky chiede tregua. Trump perde la pazienza
Nel frattempo, a Roma, Volodymyr Zelensky ha incontrato il vicepresidente americano JD Vance, ribadendo la linea: “Ci deve essere un cessate il fuoco immediato”. Vance ha poi avuto colloqui bilaterali con il ministro degli Esteri britannico David Lammy e la vicepremier Angela Rayner, nella cornice di Villa Taverna. A Washington, però, i toni si fanno più duri. Il presidente finlandese Alexander Stubb ha riferito che Trump è sempre più “frustrato” dall’intransigenza di Putin. Mosca avrebbe alzato il prezzo del negoziato, chiedendo:
- l’annessione completa delle quattro province occupate,
- la Crimea,
- la neutralità dell’Ucraina,
- l’assenza di qualsiasi presenza straniera a Kiev.
Condizioni inaccettabili per Kyiv, ma anche per chi, in Europa, teme che l’amministrazione americana — o almeno una parte di essa — possa cedere al realismo cinico e alla tentazione dell’appeasement.





