“Lavorare non è morire” e “lavoratrici e lavoratori hanno il diritto di tornare alle loro famiglie”. Le parole del Presidente Mattarella rimbombano nel vuoto assordante dei binari di Brandizzo. È qui che nella notte fra il 30 e il 31 agosto si è consumato uno degli incidenti ferroviari più sanguinosi degli ultimi anni. È fra quei binari che intorno alle 23:49 a cinque operai: Giuseppe Aversa, Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo e Giuseppe Saverio Lombardo, è stato negato il diritto al ritorno. Un treno merci, in transito sulla linea Alessandria-Torino, ha travolto i lavoratori intenti ad effettuare consueti lavori di manutenzione ferroviaria, ad una velocità di 160 km/h.

Tanti gli interrogativi e le ipotesi di reato
Com’è possibile che dei manutentori siano stati mandati sui binari poco prima dell’arrivo di un treno in corsa? È questo il rebus sul quale la procura di Ivrea sta cercando di fare luce. Gli elementi emersi a poche settimane dalla strage aprono una voragine agghiacciante sullo stato di sicurezza dei cantieri ferroviari, fatto di procedure cestinate e valutazioni approssimative. Le ipotesi di reato a carico di quattro dirigenti della Si.Gi.Fer, azienda appaltatrice dei lavori, e dei due sopravvissuti alla strage, Antonio Massa, tecnico preposto di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e Andrea Girardin Gibin, capocantiere Si.Gi.Fer., sono omicidio plurimo e disastro ferroviario. Non solo, è al vaglio degli inquirenti la componente aggiuntiva di dolo eventuale. L’elemento doloso esprime l’accettazione del verificarsi prevedibile di un illecito penale, per propria azione o omissione delle procedure atte ad evitarlo. L’agire del soggetto è dunque formalmente lecito, non contempla i caratteri dell’intenzionalità diretta a commettere reato, bensì, è centrale l’incertezza degli esiti.
Incidenti ferroviari: stragi evitabili, la normativa del sistema di manutenzione
Le dinamiche della strage di Brandizzo vanno lette attraverso la lente della normativa che disciplina la sicurezza dei cantieri ferroviari. Sino al 2010 l’incolumità dei lavoratori era demandata ad un impianto normativo originariamente datato al 1986 ed obsoleto, per tutele e valutazione del rischio. Il decreto numero 16, promulgato dall’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali (ANSF), rende illegale la pratica dell’avvistamento dei treni in corsa ad opera di un preposto, incaricato di avvisare i lavoratori solo pochi secondi prima del transito. Il periodico verificarsi di incidenti ferroviari simili a quello di Brandizzo evidenzia l’immoralità dell’interruzione tecnica, caratterizzata dall’apertura di un cantiere lampo, attivo solo per il tempo che intercorre fra il passaggio di un treno e l’altro. Sostituita da un sistema di sicurezza ben più articolato consistente in una telefonata registrata fra un dirigente della circolazione ferroviaria e la “scorta”, il preposto di RFI alla sorveglianza, il quale riceve formale autorizzazione ai lavori attraverso dettatura e rilettura incrociata del modulo M.40. La comunicazione è sempre registrata e tracciabile da specifico codice di registrazione ed orario di trasmissione. A seguire, il modulo M.40 viene firmato dal capocantiere e dal preposto RFI, a inizio e fine lavori.
Incidenti ferroviari: lavoro e sicurezza “all’italiana”
Il fulcro della strage di Brandizzo sembra ruotare proprio attorno a tale telefonata. La dirigente di circolazione in servizio, Vincenza Rapaci, ha testimoniato presso il tribunale di Ivrea. Stante la stessa, le telefonate avvenute prima dell’incidente sono state tre, tutte con perentorio divieto ad iniziare i lavori. Consapevole del ritardo di un treno non ancora transitato, la dirigente ha dichiarato ai microfoni del tg1: <<Quello che è successo non si può dimenticare però sono consapevole di avere fatto il mio lavoro nel migliore dei modi, rispettando quello che è il regolamento. Più di quello non avrei potuto fare>>.
La testimonianza resa dalla dirigente non è l’unica. Si moltiplicano di giorno in giorno le voci di operai alle dipendenze della Si.Gi.Fer che denunciano l’abitudine ad iniziare i lavori prima dell’interruzione di circolazione. Come quella di Leonardo Augusta, ventitreenne, ex-dipendente, rilasciata a La Stampa. Il giovane asserisce con sgomento: << Mi hanno isolato perché io parlavo troppo, mi lamentavo, ai capi squadra lo dicevo che, prima o poi, qualcuno finiva male con i loro metodi dove tutto era lasciato al caso. Niente. L’importante era guadagnare e fare in fretta, lavorare giorno e notte, sempre di corsa, alla faccia delle precauzioni e dei treni che dovevano ancora passare>>. O ancora, Giuseppe Cisternino, salvo per una telefonata mancata, risponde ai cronisti Rai: <<Potevo esserci anche io quella sera al lavoro, è capitato molte volte che iniziassimo a lavorare senza l’interruzione, per magari andare a casa mezzora prima o accelerare il tempo di lavorazione. Nessun operaio si è mai rifiutato di farlo, ci mandano sui binari come se fosse un parco giochi>>.
Il materiale al vaglio degli inquirenti
In attesa della perizia tecnica sulla scatola nera del convoglio, l’elemento su cui la procura di Ivrea sta concentrando le indagini è un reperto video, rintracciato sul cellulare di Kevin Laganà, una delle cinque vittime. Dalle riprese, girate poco prima della tragedia, è possibile intercettare una voce. Stante alle prime ricostruzioni, si tratta di Antonio Massa, tecnico di RFI: <<Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte>>. Il filmato riprende i manutentori sui binari eseguire gli ordini senza particolare sconcerto. Se l’ipotesi correlata ad un’abitudinarietà dei lavori in assenza di autorizzazione formale venisse confermata, la lista degli indagati è destinata ad allungarsi. Gli ultimi aggiornamenti riportano il ritrovamento di un sistema di sicurezza, il Dob, strumento rilevatore di transito ferroviario utile a far scattare il rosso in caso di bisogno. Le dichiarazioni del macchinista in servizio negano però la ricezione di un segnale visivo d’allarme. Dai fatti emersi sino ad ora sembra che il semaforo sia sempre rimasto verde. È dunque lecito sospettare l’intento di inquinare il luogo con il posizionamento dello strumento solo a seguito dell’incidente.
La risposta delle istituzioni
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recatosi a Brandizzo il giorno seguente la strage, ha ammonito: <<Morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza>>. Tanti i rappresentanti delle istituzioni radunati sul luogo per portare omaggio alla memoria delle vittime e vicinanza ai familiari. La Ministra del Lavoro e delle politiche sociali Marina Elvira Calderone, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, il sindaco Paolo Bodoni ed esponenti di tutti i colori politici. Unico assente di fatto: il Ministro delle Infrastrutture con delega alle ferrovie, Matteo Salvini, troppo impegnato a sfilare sul red carpet del Festival di Venezia. Scelta dettata presumibilmente dal minor rischio di contestazioni e fischi al quale è andato incontro.
La Commissione Parlamentare d’inchiesta, istituita a seguito della strage, ha effettuato il primo sopralluogo sui binari l’otto settembre. Dotata degli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria, è deputata allo svolgimento di inchieste indipendenti su materie di rilevante interesse pubblico. Il caso di Brandizzo rende urgente, più di quanto già non lo fosse, un ripensamento legislativo del sistema di sicurezza dei lavori ferroviari.
Un “modus operandi” malato: siamo sicuri che sia un incidente singolare?
Il quindici settembre ha avuto luogo un’informativa urgente alle Camere tenuta dal Ministro Salvini. Il quale, di Brandizzo, sottolinea il peso del “fattore umano”, delle scelte errate dei singoli, oscurando così il sistema articolato che ha favorito il verificarsi della strage. L’ultima di una lunga serie. Se certamente le responsabilità individuali andranno verificate e adeguatamente perseguite dalla magistratura, è altresì utile riflettere sulle dichiarazioni rilasciate da un manutentore anonimo a Il Post. La prospettiva che emerge è assai differente. Fatta di pressioni e conflitti d’interesse contrapposti. Non è un mistero che l’infrastruttura ferroviaria italiana presenti fragilità strutturali, specialmente quella destinata al trasporto regionale. Nonostante ciò, l’interesse delle aziende dedite al servizio di trasporto è quello di far viaggiare quanti più treni possibili, con il minor numero di interruzioni possibili. Queste ultime rappresentano <<una grossa scocciatura per chi deve fare circolare i treni>> sostiene la fonte. Così, la scelta di lavorare senza autorizzazione è un pendolo che oscilla sciaguratamente fra la responsabilità di lavorare in scarsa sicurezza e la responsabilità di lasciare dei guasti sulla linea.
Altro che “fattore umano” Ministro Salvini, si tratta piuttosto di “fattore appalto”.





