La richiesta è ora ufficiale: Matteo Salvini torni al Ministero dell’Interno. A chiederlo al congresso della Lega a Firenze sono stati i principali esponenti del partito, dai vicesegretari ai capigruppo. C’è, però, un problema evidente. Il ruolo di Matteo Piantedosi sembra difficile da mettere in discussione. Sebbene sia vero che l’attuale ministro – che secondo alcune voci della Lega sarebbe il candidato naturale per la governatorato della Campania – abbia un forte appeal sull’elettorato moderato, grazie anche ai suoi legami con la sua terra d’origine, ha più volte ribadito di non voler entrare in gioco. «Mi sento più utile alla Campania lavorando al Viminale», ha dichiarato, escludendo la possibilità di candidarsi. «Il centrodestra ha delle ottime risorse locali da valorizzare», ha aggiunto, sottolineando che al momento non ci sono tavoli di discussione per le prossime elezioni regionali.
Piantedosi, come scrive in un retroscena «Il Corriere della sera», ha preferito mantenere il fair play. Chi ha avuto modo di parlarci di recente lo ha trovato «imperturbabile» nel ribadire concetti già espressi in passato: «Mi è stato affidato un incarico al quale ho dedicato tutta la mia vita, senza che sia stato io a chiederlo. Il mio obiettivo è servire il Paese al meglio e, fino a quando mi sarà richiesto, continuerò a lavorare con dedizione», ha dichiarato, lasciando intendere che la sua priorità è il bene comune, non l’ambizione personale. Non è la prima volta, però, che il tema emerge. Subito dopo la sua assoluzione al processo di Palermo per la vicenda Open Arms, Salvini aveva già sollevato l’ipotesi di un avvicendamento. In quel frangente, infatti, il leader della Lega aveva argomentato che l’assoluzione gli avrebbe finalmente liberato il campo per un ritorno al Viminale, un incarico che in passato aveva portato ottimi risultati, come dimostrato dal 34% ottenuto alle Europee del 2019. Con la sua assenza, la Lega potrebbe ritrovare quella centralità politica che ha perso, secondo Salvini.
Le ambizioni, però, sembrano essere sproporzionate per un partito che oggi si aggira attorno al 9%, a fronte di un alleato tre volte più forte. È questo che pensano alcuni dentro Fratelli d’Italia, che definiscono la richiesta di Salvini come una «sgrammaticatura». Ma lui, Salvini, si mostra fiducioso: con la recente affermazione della manifestazione di Napoli, l’approvazione del decreto sicurezza (ormai frutto di un accordo tra tutta la coalizione) e una rinnovata visibilità internazionale, non si sente più il leader di un partito marginale. In aggiunta, la crescente visibilità internazionale, con interventi in diretta al congresso della Lega da parte di Elon Musk e Marine Le Pen, gli offre nuove carte da giocare.
Resta, però, un elemento cruciale: gli alleati. Da Palazzo Chigi, molti ricordano come Giorgia Meloni non abbia mai sminuito il lavoro di Salvini al Viminale. Ma anche qui si predica il «fair play». Come sottolinea Marco Osnato di Fratelli d’Italia, «il ministro sta facendo un buon lavoro. Come ha sempre detto lo stesso Salvini, una squadra che vince non si cambia». Forza Italia, per bocca di Raffaele Nevi, ribadisce che «il governo funziona così com’è». Ma dietro le quinte, i toni sono tutt’altro che pacati. I dirigenti azzurri, infatti, non escludono che, se Salvini insisterà, potrebbero aprire una crisi di governo, mettendo in discussione la tenuta dell’intero esecutivo.





