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Perché la mozione di sfiducia a von der Leyen imbarazza Giorgia Meloni

Non accadeva da anni. Eppure, al Parlamento europeo è tornato a farsi sentire il rumore di una sfiducia formale contro la Commissione, con una mozione che ha rimesso al centro del dibattito politico Ursula von der Leyen, proprio nel momento in cui Bruxelles è impegnata su più fronti, dai negoziati con Donald Trump sui dazi, alla difficile partita della ricostruzione dell’Ucraina. A innescare tutto è stato il cosiddetto Pfizergate, il caso che riguarda la gestione opaca dei contratti sui vaccini anti-Covid. Ma la questione, col passare dei giorni, ha assunto un significato ben più ampio, trasformandosi in una resa dei conti politica che coinvolge tutte le forze in campo e che potrebbe lasciare più di qualche segno, anche se la presidente della Commissione non sembra davvero in pericolo.

La mozione sarà votata giovedì: numeri salvi, ma immagine a rischio

Il voto è atteso per giovedì 10 luglio, e per far passare la sfiducia servirebbe un’impresa numerica: due terzi dei voti espressi e la maggioranza assoluta degli eurodeputati. Al momento, però, i gruppi di maggioranza – PPE, Socialisti e Renew – hanno già annunciato il loro no compatto alla mozione. Certo, qualche malumore è emerso anche tra le file dei sostenitori, ma nessuno scenario realistico lascia presagire un esito clamoroso. Eppure, proprio mentre la presidente dovrebbe mostrarsi forte e unita, l’immagine che arriva dall’Eurocamera è tutt’altro che solida.

L’accusa: troppi misteri sui vaccini anti-Covid

A firmare la mozione è stato Gheorghe Piperea, eurodeputato romeno del partito ultraconservatore Aur, appartenente al gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (ECR). Ma il contenuto del testo punta il dito direttamente contro la gestione della pandemia da parte della Commissione, e in particolare contro le trattative private – perfino via sms – tra von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla. Secondo l’accusa, l’allora presidente avrebbe gestito l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi bypassando i canali istituzionali, per poi rifiutarsi di rendere pubblici i dettagli delle comunicazioni. Un atteggiamento giudicato opaco, se non addirittura pericoloso, dai promotori della sfiducia.

Von der Leyen risponde: “Non cederemo ai complottisti”

Intervenendo in Aula, la presidente ha difeso il proprio operato e alzato il tiro contro chi ha presentato la mozione: “Il testo è stato firmato dagli amici di Putin”, ha dichiarato, accusando i promotori di disinformazione e tentativi di divisione: C’è in corso una caccia alle streghe. Ma non cederemo. Lavoreremo sempre per l’unità europea.

I Patrioti all’attacco, ma ECR tentenna: Meloni in bilico

Il gruppo dei Patrioti – dove siedono Lega, AfD, Rassemblement National e Fidesz – ha già fatto sapere che voterà compatto per la sfiducia, accusando la Commissione di aver agito “al di fuori del quadro democratico”. Tuttavia, la posizione di ECR, dove siede Fratelli d’Italia, è molto più sfumata. Anche se la mozione parte proprio da un membro del gruppo, il voto non è stato ancora deciso. Un’incertezza che riflette l’ambiguità politica della posizione italiana: Giorgia Meloni, che guida il partito di maggioranza, è presidente dell’ECR, ma allo stesso tempo ha un solido rapporto personale con von der Leyen, che in Commissione ha accolto Raffaele Fitto tra i suoi vicepresidenti.

Meloni stretta tra passato e presente

Il paradosso si fa evidente: quando era all’opposizione, Meloni attaccava apertamente la Commissione per la mancanza di trasparenza sui contratti vaccinali. Ma oggi, da presidente del Consiglio, non può permettersi una rottura con Bruxelles. A rendere tutto più delicato, il fatto che Forza Italia – alleata di governo – voterà contro la sfiducia, seguendo la linea del PPE. La Lega, invece, farà l’opposto. Il rischio? Un voto spaccato della maggioranza italiana che renderà palese la fragilità degli equilibri europei.

Non è solo una mozione: è un segnale

Che la mozione non passerà è ormai dato quasi per certo. Ma il significato politico va oltre il risultato numerico. Dietro il voto si nasconde il disagio profondo di una parte consistente dell’Europarlamento, che non si riconosce più nella guida di von der Leyen. La crepa è aperta. E mentre il mondo guarda all’Europa per risposte su pace, commercio e sicurezza, l’impressione è che la tenuta della maggioranza Ursula non sia più scontata.