Martedì 14 ottobre, alle 20:45, lo stadio Friuli di Udine diventerà il cuore di una delle partite più controverse degli ultimi anni. Sul campo, Italia e Israele si contenderanno un posto nelle qualificazioni ai Mondiali di calcio del 2026; fuori, migliaia di manifestanti si preparano a sfilare per le vie della città per protestare contro la presenza della nazionale israeliana. Un match che, prima ancora di essere giocato, è già un caso politico e diplomatico.
Il voto mancato e le pressioni internazionali
Nelle ultime settimane si era parlato di una possibile esclusione di Israele dalle competizioni internazionali, sulla scia delle accuse legate ai massacri nella Striscia di Gaza. Il Times di Londra aveva anticipato un imminente voto interno alla UEFA, ma la riunione non si è mai tenuta. Né la UEFA né la FIFA, gli organismi che regolano il calcio europeo e mondiale, hanno preso alcuna decisione.
Dietro la mancata sospensione, secondo fonti diplomatiche, ci sarebbero forti pressioni degli Stati Uniti, storici alleati di Israele. Eppure, molti Paesi europei, tra cui Turchia e Norvegia, avevano espresso apertamente la loro posizione a favore dell’esclusione. Anche in Spagna, il premier Pedro Sánchez aveva chiesto un intervento della FIFA, ipotizzando persino un ritiro della nazionale iberica dai Mondiali in caso di qualificazione israeliana.
Il contesto sportivo: un match che pesa
Da un punto di vista sportivo, le possibilità di qualificazione di Israele restano comunque ridotte. Anche vincendo contro l’Italia, la squadra non avrebbe la certezza del secondo posto nel girone, dominato dalla Norvegia, e dovrebbe comunque passare dai playoff. Ma il dato più importante è un altro: la partita arriva in un clima incandescente, con un cessate il fuoco appena raggiunto e un’opinione pubblica mondiale ancora divisa. Le tensioni sono esplose già sabato scorso, quando Israele ha perso 5-0 contro la Norvegia. La federazione norvegese ha devoluto l’incasso della gara a Medici Senza Frontiere, gesto che ha ispirato anche la FIGC, pronta a destinare una donazione a Médecins du Monde, organizzazione attiva a Gaza e in Cisgiordania.
Proteste a Udine e sicurezza al massimo livello
A Udine, le autorità si preparano a una serata ad alta tensione. Nel pomeriggio, prima del fischio d’inizio, è previsto un corteo di protesta al quale hanno aderito oltre 300 associazioni pro-Palestina. Secondo il commissariato locale, potrebbero arrivare più manifestanti che spettatori: lo stesso Gennaro Gattuso, commissario tecnico della Nazionale, ha ironizzato dicendo che “dentro lo stadio ci saranno 5mila persone e fuori 10mila”. L’affluenza allo stadio è infatti molto bassa: appena 5.000 biglietti venduti, un numero inusuale per una partita della Nazionale. La scelta di Udine non è casuale. La FIGC avrebbe voluto giocare a Bari, ma l’amministrazione comunale ha rifiutato di ospitare Israele. Lo stadio Friuli, invece, è di proprietà dell’Udinese, che ne ha concesso l’uso nonostante le perplessità del sindaco Alberto Felice De Toni, da sempre contrario alla presenza della nazionale israeliana.
Politica, calcio e boicottaggi
Sul piano politico, il governo italiano non ha mai messo in discussione la disputa dell’incontro. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dello Sport Andrea Abodi hanno ribadito la posizione ufficiale: “la partita si gioca”. Un atteggiamento che molti osservatori definiscono ambiguo, alla luce della riluttanza dell’esecutivo nel condannare apertamente i massacri di Gaza.
Un sondaggio di YouGov, commissionato dall’ong Ekō, ha rivelato che il 69% degli italiani sarebbe favorevole all’esclusione di Israele dal calcio internazionale. Ma la UEFA e la FIFA, per ora, preferiscono rinviare il problema. Anche perché Israele, in caso di mancata qualificazione, resterebbe fuori dalle competizioni ufficiali fino al 2026.
Le campagne di boicottaggio continuano
Intanto, la protesta si sposta dai campi di gioco ai social e alle tifoserie. Le campagne “Show Israel the Red Card” e “Game Over Israel”, promosse da attivisti e gruppi sportivi in tutto il mondo, chiedono da mesi la sospensione della federazione israeliana. Il paragone più citato è quello con il Sudafrica dell’apartheid, espulso nel 1976, o con la Russia, sospesa nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina.
A complicare il quadro, ci sono anche le squadre di club israeliane: il Maccabi Tel Aviv, impegnato in Europa League, dovrà giocare a novembre contro l’Aston Villa, e a gennaio affronterà il Bologna in campo neutro, in Serbia. Proprio i tifosi bolognesi hanno già lanciato un appello: “Non partecipiamo alla trasferta”, invitando a boicottare l’incontro come segno di protesta.
Tra calcio e geopolitica, Italia–Israele si annuncia come molto più di una semplice partita. Sarà il termometro di un’Europa divisa, di uno sport che fatica a restare neutrale e di un’Italia chiamata, ancora una volta, a scegliere da che parte stare.





