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Missione a Washington: Merz cerca l’intesa prima di G7 e vertice NATO

Friedrich Merz ha lasciato la Cancelleria ieri sera, destinazione Washington DC, con un obiettivo strategico: pranzare oggi alla Casa Bianca con il presidente americano Donald Trump e gettare le basi di un fronte occidentale compatto in vista dei cruciali appuntamenti di giugno, il G7 in Puglia e il vertice NATO a Riga. In agenda c’è il dossier più incandescente del momento (la guerra in Ucraina), ma anche un delicatissimo capitolo economico, i dazi sulle auto europee che l’inquilino dello Studio Ovale minaccia da mesi. In Germania l’incontro è accompagnato da un misto di attesa e ansia: Trump non ha mai celato il suo disprezzo per il modello tedesco, e nessuno ha dimenticato le gelide strette di mano con Angela Merkel né, più di recente, le poses teatrali con Volodymyr Zelensky.

Un “regalo” da 5 percento del PIL per convincere gli USA a restare in partita

Per far scattare il semaforo verde americano sul dossier ucraino, Merz porta a Trump un’offerta difficilmente ignorabile: Berlino alzerà la spesa per la difesa al 5 percento del PIL – suddivisa fra 3,5 percento di investimenti puramente militari e 1,5 percento per infrastrutture dual use (porti, ferrovie, cybersicurezza). L’annuncio, anticipato dal ministro degli Esteri Johann Wadephul e ribadito a microfoni aperti nelle ultime settimane, risponde in teoria alla proposta del nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, ma è soprattutto un segnale a Washington: “L’Alleanza non può permettersi un’America distratta” è il mantra che circola nei palazzi federali.

La linea ufficiale: deterrenza europea, non sottomissione a Trump

Dietro le quinte, i consiglieri di Merz negano che la mossa sia un cedimento alle pressioni USA. «È la nostra assicurazione sulla vita contro un Cremlino aggressivo», spiegano. Eppure, a Berlino non è passato inosservato il plauso del segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, che dal Giappone ha definito «un modello» la scelta europea di “salire al 5 percento”, sottolineando con maliziosa enfasi: «Persino la Germania!».

Sostegno transalpino e diplomazia del portafoglio

Altro endorsement di peso è arrivato dal senatore repubblicano Lindsey Graham, falco della sicurezza nazionale in tour europeo: intervistato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Graham ha invitato Merz a «dire a Trump che Berlino è pronta a spendere e che l’Europa accetterà un po’ di dolore». Un assist prezioso in vista di un faccia a faccia potenzialmente spinoso, dato che il tycoon ha l’abitudine di spartire carezze e ceffoni nel giro di una stessa frase.

Auto tedesche nel mirino: lo spettro dei dazi

Se l’Ucraina è la priorità geopolitica, la questione commerciale è la mina sotto il tavolo. Trump accusa la Germania di «dopare» l’export con un euro debole e regole UE asimmetriche: le sue minacce di tariffe punit ive sulle auto di lusso di Stoccarda e Monaco sono un incubo per l’industria più potente d’Europa. Mercedes, BMW e Volkswagen seguono l’incontro col fiato sospeso: un rialzo dei dazi butterebbe acqua gelida su un mercato USA che vale decine di miliardi. Merz vuole capire fin dove Trump sia disposto ad alzare la posta e, se possibile, barattare i nuovi investimenti militari con una moratoria doganale.

Premere su Putin: Berlino cerca l’appoggio di Washington

C’è poi il capitolo negoziati di Istanbul, falliti nei mesi scorsi. A giudizio del cancelliere, Vladimir Putin non avverte ancora sul collo il fiato della superpotenza americana. Merz intende convincere Trump che solo la pressione congiunta di Washington e Bruxelles può portare Mosca a un cessate il fuoco credibile o almeno a un tavolo di pace dal quale non alzarsi dopo dieci minuti. Una scommessa non semplice: il presidente USA ha mostrato alternanza di tono con il Cremlino, e parte della sua base elettorale guarda con sospetto a un coinvolgimento troppo profondo nella guerra.

L’incognita AfD: timori di un endorsement scomodo

A inquietare Berlino c’è anche il risiko interno: Trump ha più volte strizzato l’occhio all’ultradestra Alternative für Deutschland. Un elogio pubblico nello Studio Ovale – sulla falsariga di quanto già fatto da figure di vertice della sua amministrazione – darebbe fiato a un partito che i moderati tedeschi considerano una minaccia alla tenuta democratica. Gli strateghi di Merz temono la foto di rito con sorrisi sospetti o una battuta fuori copione che possa essere trasformata in spot elettorale dalle file sovraniste.

Un pranzo ad alto rischio, ma imprescindibile

Il menù diplomatico è quindi carico di calorie politiche: Ucraina, NATO, dazi e populismo europeo. In gioco non c’è solo l’immagine del cancelliere, ma la capacità dell’Europa di presentarsi unita al G7 di Borgo Egnazia e al summit NATO di luglio. Merz lo sa e, prima di decollare, ha ribadito ai suoi ministri: «Non possiamo fare a meno degli americani, né loro possono fare a meno di un’Europa stabile».

La speranza di Berlino è che il “regalo” da 5 percento basti a sciogliere il ghiaccio. Ma con Trump il copione non è mai scritto: potrebbe esultare per l’aumento delle spese militari e un minuto dopo minacciare nuovi balzelli doganali. Per questo, nelle stanze della Cancelleria circola un motto semiserio: “Portiamo l’assegno, ma indossiamo il casco”. Oggi all’ora di pranzo si capirà se servirà davvero.