Dal 1° gennaio 2026 cambieranno molte cose per migliaia di lavoratori e famiglie italiane. La nuova Legge 106/2025, approvata lo scorso luglio, introduce un pacchetto di tutele aggiuntive per chi convive con patologie gravi, croniche, invalidanti o oncologiche, e per i genitori di figli nelle stesse condizioni. È una piccola rivoluzione, o forse meglio dire un primo passo, che va ad affiancarsi alla storica Legge 104, ampliandone la portata. Il punto di svolta? Più permessi e congedi, ma con un prezzo: i periodi più lunghi non saranno retribuiti. Una novità che accende speranze, ma anche qualche perplessità.
Cosa introduce la Legge 106: i nuovi diritti per i lavoratori fragili
La Legge 106/2025, entrata formalmente in vigore il 9 agosto, diventerà operativa con il nuovo anno. Prevede dieci ore annue aggiuntive di permessi retribuiti per chi ha un’invalidità pari o superiore al 74%, e un congedo fino a due anni non retribuito, ma con conservazione del posto di lavoro. Inoltre, viene riconosciuta la priorità di accesso allo smart working per i lavoratori in condizione di fragilità o per chi ha figli con disabilità gravi. Non è una sostituzione della Legge 104, ma un’integrazione: per la prima volta, l’attenzione si sposta anche sul lavoratore malato e non solo su chi presta assistenza. È una modifica culturale, prima ancora che normativa: si passa da una logica di “assenza” a una di gestione della fragilità.
Come cambia la 104: cosa resta e cosa si aggiunge
Fino a oggi, la Legge 104 tutelava chi assiste un familiare disabile o chi, essendo disabile, ha bisogno di tempo per sé. Il diritto più noto resta quello dei tre giorni di permesso retribuito al mese, frazionabili anche in ore. Con la 106, questi tre giorni restano, ma si aggiungono dieci ore extra all’anno, dedicate a visite, cure e terapie. La misura vale per lavoratori pubblici e privati e anche per i genitori di figli minorenni con patologie invalidanti o oncologiche, con invalidità riconosciuta superiore al 74%. La legge prevede inoltre la possibilità di un congedo di due anni, non retribuito, ma con mantenimento del posto e copertura contributiva volontaria. È una scelta impegnativa, ma offre una via d’uscita a chi ha bisogno di tempo per curarsi senza perdere il lavoro.
Smart working e nuove garanzie: opportunità e rischi
Uno dei passaggi più delicati riguarda il diritto al lavoro agile. I lavoratori fragili potranno chiedere una corsia preferenziale per lo smart working, purché la mansione lo consenta e non ci siano ostacoli organizzativi. Il rischio, però, è che questa clausola si traduca in un margine di discrezionalità troppo ampio per le aziende. Non tutte le professioni possono essere svolte da remoto e la legge, pur introducendo un principio importante, lascia ampi spazi di interpretazione.
Una novità rilevante riguarda anche gli autonomi: partite IVA e professionisti potranno sospendere la propria attività fino a 300 giorni in caso di malattie oncologiche o invalidanti, mantenendo la posizione contributiva attiva. È un passo avanti importante, che comincia a colmare, anche se solo in parte, il divario storico tra lavoratori dipendenti e autonomi.
Le criticità: un passo avanti, ma non basta
Non mancano i punti deboli. La CGIL parla di “un segnale d’attenzione, ma ancora insufficiente”, soprattutto perché i congedi non retribuiti rischiano di escludere chi non può permettersi di restare senza reddito. Restano incognite anche sul piano burocratico: serviranno circolari e modulistica chiare, procedure rapide per la certificazione medica e un coordinamento efficace con l’INPS.
E poi c’è il tema del lavoro agile, che, se lasciato alla sola discrezionalità aziendale, rischia di diventare un diritto teorico più che reale.
Cosa devono fare ora lavoratori e imprese
Chi ha i requisiti (invalidità ≥74%, patologia cronica o oncologica, o figlio in condizioni simili) deve aggiornare la documentazione sanitaria, con certificazioni rilasciate da medici del Servizio sanitario nazionale o da strutture accreditate. Le aziende, dal canto loro, dovranno rivedere i regolamenti interni, preparare i flussi per la gestione dei nuovi permessi e aggiornare le policy sullo smart working. In un Paese dove il tasso di occupazione delle persone con disabilità è fermo al 32,5%, la Legge 106/2025 rappresenta un piccolo passo verso un sistema più giusto. Ma restano aperte domande cruciali: chi potrà davvero permettersi di usarla? E quanto la burocrazia saprà non trasformare un diritto in un nuovo ostacolo? La strada verso una vera inclusione lavorativa è ancora lunga.





