Laura Santi se n’è andata questa mattina, nella sua casa di Perugia, circondata dall’affetto di chi l’ha sostenuta nella sua battaglia più difficile: quella per poter scegliere come e quando morire. Affetta da una forma avanzata e irreversibile di sclerosi multipla, la giornalista cinquantenne ha deciso di ricorrere al suicidio medicalmente assistito, somministrandosi autonomamente il farmaco letale. Accanto a lei c’era il marito, Stefano, compagno di vita e di lotta, che ha confermato quanto già appariva evidente a chi la conosceva: «Nell’ultimo anno, le sofferenze di Laura erano diventate intollerabili». La notizia del decesso è stata diffusa dall’Associazione Luca Coscioni, che ha seguito e sostenuto Laura nel lungo e complesso percorso per far valere un diritto riconosciuto ma ancora ostacolato.
Un cammino durissimo, tra ostacoli e silenzi
Laura Santi aveva manifestato i primi sintomi della malattia nel 2000. Da allora, una lenta ma inesorabile perdita di autonomia: tetraplegia completa, incontinenza, spasmi continui e una dipendenza totale da presìdi vitali. «Ho perso le braccia, il tronco, sono in sedia a rotelle da 16 anni», raccontava in un’intervista al Corriere della Sera. Nonostante la diagnosi chiara e le sue condizioni gravi, ha dovuto affrontare un iter giudiziario e amministrativo estenuante per vedersi riconosciuto il diritto all’accesso al suicidio assistito. Secondo quanto ricostruito dall’Associazione Luca Coscioni, sono stati necessari tre anni, due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e persino un reclamo ufficiale contro l’Asl umbra. Solo nel novembre 2024, dopo lunghissime attese, Laura ha ricevuto una relazione medica che attestava il possesso dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale (caso Dj Fabo). A giugno 2025 è arrivata la conferma definitiva dal collegio medico e dal comitato etico.
“La libertà di scegliere è dignità”
Laura non ha mai smesso di raccontare con lucidità e dignità la sua battaglia. E lo ha fatto anche fino all’ultimo momento, affidando all’Associazione Luca Coscioni le sue parole finali, dense di consapevolezza e gratitudine: «La vita è degna di essere vissuta, se uno lo vuole, anche fino a cent’anni e nelle condizioni più feroci. Ma dobbiamo essere noi, che viviamo questa sofferenza estrema, a decidere. Nessun altro». Nella lettera lasciata, Laura scrive ancora: «Io sto per morire. Non potete capire che senso di libertà dalle sofferenze, dall’inferno quotidiano che ormai sto vivendo. O forse lo potete capire. State tranquilli per me. Io mi porto di là sorrisi, credo che sia così. Mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato. E vi prego: ricordatemi».
Una battaglia civile ancora aperta
Con la sua storia e la sua voce, Laura Santi ha incarnato una delle questioni più delicate del nostro tempo: il diritto all’autodeterminazione nella fase finale della vita. Il suo caso mette ancora una volta in luce le contraddizioni normative e burocratiche che, in assenza di una legge organica sul suicidio assistito, costringono i malati a percorsi lenti, faticosi e spesso umilianti, anche di fronte a patologie irreversibili e invalidanti. Il suo impegno come attivista e consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni ha lasciato un segno. Non solo per chi l’ha conosciuta, ma per chiunque creda che la libertà, quando si parla di vita e di morte, non possa mai essere delegata ad altri. Laura se n’è andata come voleva, con consapevolezza e amore, circondata da chi le era caro. Le sue parole restano, come un’eredità preziosa per una società che ancora fatica ad ascoltare chi soffre.





