C’è aria di nervosismo nelle cancellerie europee. La prospettiva di un nuovo faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin, previsto a Budapest, ha rimesso in moto la diplomazia del Vecchio Continente. Le telefonate si susseguono, le agende si riempiono di vertici d’urgenza. L’Europa teme di restare fuori dal tavolo delle trattative, spettatrice di un accordo che potrebbe ridefinire gli equilibri della guerra in Ucraina.
L’iniziativa dei “Volenterosi” e la risposta europea
La cosiddetta coalizione dei Volenterosi, guidata da Francia e Regno Unito, ha convocato per venerdì un incontro straordinario a Londra. Attorno al tavolo siederà anche Volodymyr Zelensky, deciso a far sentire la voce di Kiev prima che inizi il vertice di Budapest. Secondo fonti ucraine, è stato proprio il presidente a sollecitare l’appuntamento, per non lasciare che Stati Uniti e Russia discutano del futuro dell’Ucraina senza l’Ucraina stessa. Il messaggio è chiaro: nessuna pace “imposta dall’alto”, nessuna spartizione in stile Guerra Fredda.
Meloni attende, Crosetto apre all’acquisto di armi Usa
Non è ancora chiaro se Giorgia Meloni parteciperà all’incontro di Londra, di persona o in videocollegamento, come già accaduto per la riunione di Parigi. Chi le è vicino parla di prudenza strategica: la premier preferirebbe osservare i movimenti di Trump prima di definire il proprio posizionamento.
Nel frattempo, La Stampa ha confermato l’indiscrezione di Bloomberg: l’Italia avrebbe manifestato apertura all’acquisto di armi statunitensi da destinare a Kiev, nell’ambito del programma “Purl”, sollecitato dal segretario alla Guerra Pete Hegseth. La proposta, secondo fonti Nato, sarebbe stata avanzata dal ministro della Difesa Guido Crosetto durante la riunione dei ministri dell’Alleanza.
L’Europa tra divisioni e veti
A farsi sentire per primo è stato Emmanuel Macron, che ha chiesto esplicitamente di garantire la presenza di Ucraina ed Europa al tavolo di Budapest. Una posizione condivisa anche dall’Alta Rappresentante Ue Kaja Kallas, secondo cui “non accadrà nulla di concreto senza la presenza dell’Europa”. Ma il fronte europeo resta fragile: Ungheria e Slovacchia minacciano il veto sul diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca e sull’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare il prestito da 140 miliardi di euro all’Ucraina. Mentre il Belgio solleva dubbi legali, l’Italia appare sempre più scettica: da Palazzo Chigi filtrano parole come “criticità” e “prudenza”.
L’ombra di Mosca e il silenzio del governo italiano
A complicare ulteriormente la scena è arrivato l’ambasciatore russo in Italia, Alexei Paramonov, che ha definito l’ipotesi di dirottare i fondi di Mosca verso Kiev “il furto del secolo”, minacciando “contromisure immediate” contro Roma. Le sue parole, giunte a poche ore dal Consiglio europeo, sono state accolte dal silenzio del governo italiano. Solo Riccardo Magi, segretario di Più Europa, ha reagito con durezza: “Il governo deve prendere posizione. Salvini dimostri di essere un patriota e non una marionetta del Cremlino“.
Nel frattempo, la maggioranza avrebbe deciso di non inserire alcun riferimento agli asset russi nella risoluzione parlamentare che accompagnerà le comunicazioni di Meloni in vista del vertice Ue. Il testo, frutto di un compromesso fra Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, mantiene un profilo basso sulle sanzioni e cita solo di sfuggita l’appuntamento di Budapest. Un modo, forse, per non irritare Trump e non esporsi troppo in un momento in cui l’Europa rischia di restare ancora una volta fuori dalla partita decisiva.





