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Garlasco, una suola sconosciuta sulla scena del delitto: il mistero del secondo assassino

A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso Garlasco continua a scuotere l’opinione pubblica. Mentre Alberto Stasi resta l’unico condannato in via definitiva, nuovi elementi sollevano dubbi inquietanti sulla ricostruzione ufficiale dei fatti. Impronte mai attribuite, scarpe scomparse, dettagli anatomici ignorati: tasselli che alimentano il sospetto che la verità, forse, non sia mai stata completamente svelata.

Un secondo assassino? La teoria rilanciata da nuove analisi

A riportare l’attenzione sul caso è Enrico Manieri, esperto in balistica e Blood Pattern Analysis. Dopo aver esaminato le immagini delle tracce ematiche nella villetta di via Pascoli a Garlasco, Manieri ha identificato impronte di suole differenti da quelle attribuite ad Alberto Stasi. In particolare, le impronte evidenzierebbero risalti rettangolari non compatibili con le Frau n. 42 indossate da Stasi, né con le altre 26 paia analizzate durante le indagini.

Le impronte sarebbero state lasciate sul pavimento e sui gradini della scala che conduce alla taverna, alcuni dei quali intrisi di sangue. Uno di questi segni, posizionato sul primo gradino, è risultato particolarmente sospetto: era compatibile con una calzatura completamente diversa da quelle esaminate all’epoca. Dettagli tecnici, forse, ma potenzialmente capaci di cambiare la narrazione consolidata.

Scarpe nel canale e prove svanite

Un altro elemento inquietante riguarda un ritrovamento avvenuto undici giorni dopo il delitto, quando due agricoltori segnalarono la presenza di un sacco di cellophane in un canale tra Villanova d’Ardenghi e Zinasco. Al suo interno furono trovati indumenti e un paio di scarpe Mister Valentino n. 43, con una suola compatibile con le impronte rilevate nella casa.

Le analisi forensi fornirono risultati ambigui: il Luminol indicò possibili tracce di sangue, ma il successivo test Combur risultò negativo. Tuttavia, gli esperti ricordano che il lungo tempo trascorso in acqua potrebbe aver compromesso i test, rendendo meno affidabile l’esito. Quelle scarpe, mai riconosciute come prove determinanti, sarebbero poi state distrutte, e con loro forse un indizio fondamentale.

Un’impronta nuda e l’ipotesi di una donna

Tra gli aspetti più misteriosi c’è anche il rilievo di un’impronta plantare lasciata da un piede nudo, con una deformazione compatibile con l’alluce valgo. Una patologia che colpisce circa un quarto della popolazione, con netta prevalenza femminile. L’impronta, secondo il medico legale Oscar Ghizzoni, era incompatibile con i piedi di Alberto Stasi. Eppure, questo dettaglio non è mai stato davvero approfondito nei processi.

Se il piede non è di Stasi, e non appartiene nemmeno ai soccorritori o ai familiari, allora chi era presente sulla scena del crimine? Alcune teorie alternative, nel tempo, hanno suggerito la presenza di una seconda persona, forse una figura femminile, sulla base anche di altre impronte compatibili con calzature di taglia più piccola. Ipotesi mai confermate, ma neppure definitivamente smentite.

I limiti di un’inchiesta che continua a dividere

Il delitto di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007, è stato al centro di uno dei percorsi giudiziari più lunghi e controversi della storia italiana recente. La condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, giunta dopo due gradi di assoluzione, non ha mai fugato del tutto i dubbi. Non solo per la complessità delle prove, ma anche per le numerose incongruenze emerse nel corso del tempo.

Le nuove analisi rilanciate da Manieri, e l’approfondimento di portali come Dillinger News, dimostrano quanto la memoria del caso sia ancora viva, e quanto resti difficile per l’opinione pubblica accettare una verità che appare, agli occhi di molti, parziale o incompleta. L’ipotesi che la scena del crimine sia stata attraversata da più persone, e non solo dall’imputato, riapre vecchie ferite e nuove domande.

Il fantasma della verità

Il caso Garlasco continua a essere una ferita aperta, non solo per le persone coinvolte direttamente, ma per un intero Paese che ha seguito il caso con attenzione, indignazione e dubbi. Le nuove ipotesi, i reperti mai analizzati a fondo, le contraddizioni che affiorano a distanza di anni, pongono domande a cui il sistema giudiziario non ha mai davvero risposto. È possibile che qualcuno abbia calpestato quella scala senza mai essere identificato? È credibile che prove potenzialmente decisive siano state distrutte o ignorate? È accettabile che un’impronta plantare non attribuita sia rimasta ai margini del dibattimento? Domande senza risposta, in un caso che, anche a distanza di 18 anni, continua a far tremare le certezze.