Il 13 agosto 2007, il giorno dell’omicidio di Chiara Poggi, il suo cellulare riceve ben sei telefonate. Le prime due, alle 9:44 e alle 10:17, sono firmate Alberto Stasi, il fidanzato della vittima, che dirà di averle telefonato per darle il buongiorno. Ma Chiara, secondo la Cassazione, è già morta: il decesso è stato collocato tra le 9:12 e le 9:35. Da lì in poi, quel cellulare continua a squillare per ore. Altre quattro chiamate arrivano con cadenza regolare – 11:38, 12:46, 13:27 e 13:30 – tutte da numeri anonimi.
In una prima fase si ipotizza che quei numeri appartengano a un’agenzia viaggi di Milano, ma il locale quel giorno era chiuso per ferie. Il gup Stefano Vitelli, nel primo grado del processo, affida una perizia a due tecnici informatici, Roberto Porta e Daniele Occhetti. I due fanno un’analisi “probabilistica” e il risultato è clamoroso: l’unica utenza fissa che disabilitava sistematicamente la visualizzazione del numero, insieme a quella dell’agenzia chiusa, era proprio quella dell’abitazione di Alberto Stasi. Una coincidenza troppo precisa, che per il giudice si trasforma in una «ragionevole certezza» quando quei dati si incrociano con ciò che Stasi stava facendo al computer in quelle stesse ore.
La chiamata da casa Stasi: 12 secondi di mistero
Ma c’è di più. Alle 13:27, dallo stesso numero fisso di casa Stasi, parte una telefonata alla linea fissa dei Poggi. E questa volta non cade nel vuoto: qualcuno risponde. La conversazione dura dodici secondi. Chi era in casa Poggi, ore dopo l’omicidio di Chiara? Il sistema d’allarme potrebbe avere risposto automaticamente, ipotizzano i periti. Ma non è possibile escludere che a sollevare la cornetta sia stata una terza persona, presente sulla scena del crimine. Una presenza misteriosa che, se confermata, cambierebbe la geografia investigativa di quel giorno. Il giudice Vitelli non si sbilancia: «Non è tecnicamente possibile determinare se la risposta sia stata data dal sistema antifurto o da un soggetto ignoto», scrive. Ma il dubbio resta, e inquieta.
L’indagato Sempio e le telefonate “dimenticate”
Nel fascicolo appena riaperto dalla Procura di Pavia entra anche Andrea Sempio, all’epoca amico del fratello di Chiara e oggi indagato. Il suo traffico telefonico del 13 agosto è stato riesaminato, e i tabulati mostrano contatti con due amici, Roberto Freddi e Mattia Capra, mai menzionati nelle testimonianze rese all’epoca. Nessuno dei tre, appena maggiorenni, aveva parlato di quelle chiamate o messaggi. Un silenzio che ora gli inquirenti vogliono chiarire, cercando i vecchi cellulari e confrontando di nuovo date, orari, distanze. Se ci sono stati spostamenti, omissioni o incongruenze, i tabulati potrebbero rivelarli. Anche in questo caso, è la tecnologia a supplire a ciò che la memoria, o forse la volontà, ha lasciato fuori.
Il testimone ritrattato e la bicicletta di Paola Cappa
C’è poi il caso di Marco Muschitta, un presunto super-testimone. Il 27 settembre 2007 riferisce ai carabinieri di aver visto, quella mattina tra le 9:30 e le 10:00, Paola Cappa – gemella della cugina di Chiara – sbucare in bicicletta nei pressi di via Pascoli. Non è un avvistamento qualunque: Muschitta parla di un oggetto metallico, «un piedistallo tipo da camino con una pigna in cima», che la ragazza stringeva nella mano destra mentre pedalava in modo incerto.
È un dettaglio così preciso da sembrare inventato. E infatti, il giorno dopo Muschitta ritratta. Ma in un’intercettazione con il padre, confessa: «Io lo so che avevo ragione». E il genitore gli risponde: «Lo hanno fatto per proteggerti. Magari c’erano altri testimoni che dicevano che quella persona era altrove e tu saresti stato incastrato. Ma loro hanno l’informazione e su quella basano il loro lavoro». Alla fine, Muschitta viene querelato per calunnia dal padre di Paola, ma il processo si conclude con un’assoluzione. I giudici credono alla ritrattazione, anche se resta l’amaro sospetto di qualcosa non detto, non visto o forse non voluto vedere.
Un puzzle ancora aperto
Diciott’anni dopo, l’omicidio di Garlasco continua a far parlare. Senza immagini di videosorveglianza – nessuno le sequestrò all’epoca – restano i tabulati a raccontare il dietro le quinte di quella tragica giornata. Numeri, orari, squilli che non hanno mai mentito. E che ora, sotto una nuova luce, potrebbero rivelare ciò che a lungo è rimasto sepolto dietro mezze verità, ipotesi, omissioni. La tecnologia, in questo caso, non dimentica. E potrebbe essere proprio una sequenza di dati, silenziosa ma implacabile, a dare finalmente voce a Chiara.





