Non sono gravi le condizioni del 71enne di Arbus, paesino nel sudovest della Sardegna, ricoverato da martedì scorso nel reparto Infettivi dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari con una diagnosi che ha colto tutti di sorpresa: il colera. Il paziente, che soffre di patologie cardiache, è ricoverato in ospedale da cinque giorni. Al momento non si conoscono il luogo e il giorno del contagio: l’uomo non avrebbe fatto recentemente viaggi all’estero. Ad ogni modo hanno preso il via le solite attività di tracciamento: sono stati applicati tutti i protocolli nazionali relativi alla malattia infettiva. Quello dell’anziano è il primo caso dopo l’epidemia che 50 anni fa colpì Sardegna, Campania e Puglia.
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Colera, anziano ricoverato a Cagliari: le ultime notizie
L’emergenza è scattata lo scorso martedì, quando l’anziano è arrivato all’ospedale di Is Mirrionis dopo essere stato ricoverato in un’altra struttura sanitaria. L’uomo accusava disturbi gastrointestinali che nonostante alcuni trattamenti non cessavano di tormentarlo. A quel punto è stata avanzata l’ipotesi del colera. “Il servizio Igiene pubblica della Asl di Sanluri, che ha competenza sulla zona di Arbus dove vive il paziente, sta facendo controlli a tappeto”, ha spiegato Goffredo Angioni, che alla Asl di Cagliari dirige il reparto Malattie infettive e ha in cura il 71enne.

Colera a Cagliari: sintomi e contagio
Al momento non c’è stato nessun contatto dell’anziano che abbia manifestato sintomi. Ma come avviene il contagio? Una delle possibilità deriva dal consumo di alcuni frutti di mare crudi. “Inizialmente ha fatto capire di aver mangiato cozze crude, ma non c’è la certezza che lo fossero. Nelle campagne di Arbus quest’uomo cura un orto e lì si stanno analizzando le verdure, l’acqua del pozzo e la rete fognaria. Si valuta anche se abbia avuto contatti con persone che arrivano da Paesi dove il colera è una realtà: nulla resterà intentato”, ha spiegato all’«Adnkronos» Angioni.

Il primo caso dopo quasi 50 anni
“È molto probabile che questa infezione sia arrivata dai frutti di mare, se questi mangiati crudi fossero evidentemente infettati dal batterio sarebbe una cosa molto grave. Bisogna dire alla gente che i frutti di mare crudi non si mangiano. Lo diciamo sempre, molto spesso le infezioni intestinali si prendono perché si mangiano frutti di mare crudi e pesce crudo. La raccomandazione è di mangiare pesce e frutti di mare cotti, in modo tale che una persona non si contagi. Bisogna inoltre lavarsi le mani quando si toccano”, ha detto Matteo Bassetti, il direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova.
Ma che cos’è il colera? Si tratta di un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La sua trasmissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. I sintomi includono diarrea acquosa e vomito. Il batterio del colera è presente soprattutto nell’acqua e può contaminare alimenti come molluschi e prodotti della pesca. Nel diciannovesimo secolo il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria attorno al delta del Gange verso il resto del mondo, dando origine a ben sei pandemie.

Colera a Cagliari: la terapia da seguire per la guarigione
Sul sito ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità viene spiegato anche come si cura: “L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri. Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente”.
È necessario assumere antibiotici? L’Iss chiarisce che possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi. In genere essi vengono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.





